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Serie A2 Est 01/02/2011, 10.16

Vucinic, il sergente della MarcoPoloShop.it comanda: «Disciplina»

"Disciplina, sforzo e fiducia sono le mie tre regole per salvarci. Cosa manca? La mentalità vincente, l’attitudine difensiva"

Serie A2 Est

 


- Il Resto del Carlino -

«DISCIPLINE». Nenad Vucinic la parola la pronuncia molto lentamente. Sul volto glabro nessun sorriso. Gli occhi: due fessure. Il tocco d’internazionalità del personaggio regala paradossalmente quasi un clima di euforia alla presentazione del nuovo coach della Marco Polo, fra selve di taccuini, tifosi imbucati, telecamere, microfoni, telefonini e macchine fotografiche ronzanti, l’unico che non ride, mai, è proprio lui.
Il padre sarà anche stato montenegrino, la madre croata di origini neozelandesi, ma lui è serbo al 100%, nei modi, negli sguardi, in tutto («Unfortunately Jugoslavia doesn’t exist anymore», è il suo omaggio alla patria perduta). Parla poco, non un verbo più del dovuto, ma negli occhi gli leggi già il proclama churchelliano «sangue, sudore e lacrime», i dvd divorati nella notte gli han già fatto capire il valore dell’eredità dilorenziana: una squadra anarchica. E lui è qui per raddrizzarla. A modo suo: «Mi capirete se gli allenamenti saranno d’ora in poi a porte chiuse, qui serve concentrazione», mormora in inglese. E quello che non può dire, lo diciamo noi: così se devo infuriarmi con qualche giocatore perché non esegue quello che gli chiedo, non mi ritrovo la sfuriata sui giornali o sui siti internet il giorno dopo. L’unica, benevola, eccezione oggi: alle 18.30 portoni aperti ai Romiti per chi volesse vedere il nuovo coach in azione (e che in serata sarà ospite di Panorama basket a Teleromagna). Il messaggio è chiaro: tutti in riga se vogliamo uscire vivi da questo vortice che ci ha risucchiato fino al fondo del barile della LegaDue.
ALTRA ATMOSFERA. Da Napoli a Belgrado il salto è altissimo. Dalla cordialità solare di Di Lorenzo, alla professionalità quasi militaresca di Vucinic. «Non temo le sfide io — scandisce con voce cupa —, non privilegio nè difesa nè attacco. Voglio solo tirare fuori il meglio dai miei giocatori». Già, ma il problema è proprio questo. Ed è il dubbio di tutti, lo scetticismo diffuso in un ambiente depresso dalla classifica: i giocatori li conosce? Cosa conosce di questo campionato, lui che allena la nazionale della Nuova Zelanda (e bene) e club in Estonia e Turchia? «Toppert non mi è nuovo. Gordon l’anno scorso giocava in Turchia, nel mio stesso campionato: ho guardato i dvd delle sue partite di quest’anno, è sotto taglia, può dare di più. E poi ho visto Goldwire in azione nel campionato greco». Lo aspetta una babele, dove la lingua inglese sarà il trait d’union di una squadra passata dall’allegria cameratesca della scorsa stagione a un puzzle di idiomi e passaporti in un gruppo che, per mille motivi, un gruppo ancora non è.
E allora torniamo al punto di partenza: «Disciplina, sforzo e fiducia sono le mie tre regole per salvarci. Cosa manca? La mentalità vincente, l’attitudine difensiva. Serviranno tre allenamenti per cambiare rotta. L’anno scorso in Turchia al Darussafaka capitai in una situazione simile, quando subentrai trovai un ruolino di marcia di vinte e 12 perse». Come andò a finire? «7 vinte, 18 perse, e fu retrocessione». Silenzio in sala, il significato del termine inglese relegation lo conoscono tutti. Nenad afferra al volo il clima suicida e per la prima volta la sua bocca si piega in un sorriso: «Attenzione, se non ci credessi non sarei mai venuto qui. Siamo ultimi, però in città ho notato una grande passione, tante aspettative su questa squadra. Ora pensiamo a lavorare». Anche Nenad si gioca qualcosa in questa partita, mettere un piede sulla giostra italiana potrebbe essere per lui un proficuo investimento, se portasse a termine con successo la missione salvezza. Lui, a suo tempo guardia delle giovanili del Partizan Belgrado, «ma senza talento per emergere, mica come il mio amico Djordjevic», e allora un giorno ecco il cambio di vita e la firma su un contratto per andare a giocare a basket nell’altro capo del mondo, la Nuova Zelanda, «Ci dovevo rimanere 6 mesi, ci son restato 18 anni». Suo figlio di 21 anni frequenta l’università laggiù, la figlia 19 enne invece gioca a basket in un college della Louisiana.
Lui per adesso si accontenta di un appartamentino in via Zuelli, dove fra dieci giorni arriverà la moglie. Dice niente? Sì, nello stesso edificio dove c’è la sede della FulgorLibertas. Casa e bottega, un impegno totale, una simbiosi cibernetica per far sì che l’anno prossimo non si torni a sfidare Riva del Garda o Ozzano. Non sa niente del campionato in cui sta per tuffarsi con l’ossessione di vincere almeno otto partite, ma l’immagine che resta è di un tipo con le idee chiare e un curriculum internazionale che non si sa ancora quanta validità agonistica possa avere in Italia. Quella di Vucinic è una scelta senza mezze misure. Siamo di fronte alla scommessa del decennio: con il sergente Nenad o gloria o disfatta.

 

 

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E. Carchia

E. Carchia

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