Mi chiamo Alessandro Pagani: Questa è la mia storia
Dopo lo spiacevole episodio a Manerbio, per lui si sono da qualche giorno aperte nuove porte del mondo biancorossoblu, non più da giocatore ma da membro dello staff
Alessandro Pagani e UCC Assigeco Piacenza, un rapporto che continua in una nuova forma. Dopo lo spiacevole episodio a Manerbio, per lui si sono da qualche giorno aperte nuove porte del mondo biancorossoblu, non più da giocatore ma da membro dello staff.
''Mi chiamo Alessandro Pagani e sono nato il 19 maggio 1994 a Codogno, città dove, nel 2000, è nato anche il Campus Assigeco.
Frequentavo le scuole elementari quando ho conosciuto il gioco del basket ed è stato subito amore.
Sin dai tempi del minibasket, quindi, avendo la possibilità di poter giocare a due passi da casa, sono entrato in Assigeco, insieme agli altri bambini che erano attratti dal bellissimo progetto educativo e sportivo del Campus e di tutto quello che vi gravitava attorno: mi piaceva la struttura, mi piacevano le persone che vi lavoravano, gli allenatori, i miei compagni di gioco. Vedevo, nel tempo, i ragazzi grandi che giocavano nelle categorie superiori che vivevano nella foresteria e dedicavano la loro giornata al basket e mi attirava sempre di più questa realtà, che sin da piccolo invidiavo.
Sono cresciuto in casa Assigeco: dopo il minibasket, diventando grande, sono passato alle categorie superiori, acquisendo grande passione e spirito sportivo che si univano all’amore incondizionato che provavo per questo sport, dedicandovi tutto il tempo libero che la scuola mi concedeva.
Persino d’estate, con il Campus chiuso alle squadre per le stagioni terminate, venivo al campetto del Campus e tiravo per ore, nonostante l’afa e anche da solo, mentre i miei compagni erano, magari, già in vacanza.
I primi campionati cui ho partecipato, con le giovanili Under 15/16/17, erano regionali e noi, come squadre, risultavamo molto forti, vincenti. Credo tuttavia che questi successi fossero per lo più dovuti al fatto che ci si misurava tra pari, con altre squadre ‘minori’ e atleticamente non ben formate.
Il primo anno in cui ho giocato con Assigeco in Eccellenza U17 (contro squadre del calibro di Armani Jeans e Cantù, per citarne un paio) mi sono reso conto che la pallacanestro che avevo giocato sino ad allora era stata una cosa piuttosto ‘leggera’ ma che, soprattutto, non ero fisicamente e atleticamente all’altezza di molti miei avversari coetanei, che avevano il fisico formato da esercizi in palestra mirati allo sviluppo muscolare; da quel momento, ho deciso di dedicarmi con maggiore dedizione al mio corpo e al suo sviluppo atletico, seguito dai preparatori Assigeco, veramente in gamba, che mi facevano seguire programmi individuali specifici.
Sono orgoglioso di poter dire di essere sempre stato il capitano delle squadre Assigeco con cui ho militato, negli anni, nelle varie categorie: ero bravo, indubbiamente, ma non ho mai posseduto un particolare talento cestistico, in senso stretto. Il mio carattere, il mio carisma e l’impegno agonistico che ho sempre profuso nel gioco han fatto si che venissi scelto per questo importante ruolo.
A 18 anni, con l’U19, dopo un periodo in cui sono stato fermo per ben 8 mesi per la rottura del tendine d’Achille, ho vinto la Coppa Italia, il mio primo vero trofeo, e devo dire che è stata una delle più grandi soddisfazioni della mia vita, riuscendo a giocarmi le finali, nonostante l’importante, recente, infortunio.
Nel mio ultimo anno alle giovanili, con una formazione composta da pezzi da 90 come Vencato, Rossato e Donzelli, siamo riusciti ad arrivare alle finali nazionali: è stato comunque un anno molto soddisfacente, mi sono divertito e l’ho vissuto appieno. Successivamente a questa ricca stagione, la Società ha deciso di mandarmi, con doppio tesseramento, all’Urania Milano, in Serie B, allenata dal coach Marcello Ghizzinardi di Codogno, già allenatore delle giovanili e secondo e terzo assistente della prima squadra Ucc Assigeco in diverse annate.
E’ stata la mia unica esperienza fuori casa, durata due anni e mezzo: realtà nuova, città grande, nuovi amici, nuova esperienza rispetto al mondo al Campus cui ero abituato. A Milano ho avuto l’opportunità di crescere molto a livello cestistico perché mi sono confrontato con giocatori di serie B adulti e con molta esperienza e perché ho avuto la possibilità di ricoprire più ruoli, dalla guardia al centro.
Contemporaneamente all’Urania mi sono arrivate le prime due convocazioni nella Nazionale U20 di Sacripanti, e per me sono state vere sorprese. Nel periodo della seconda convocazione, 2014, mi è subentrato un problema critico ad un piede, a causa di una cisti mal curata che mi ha tenuto lontano dal parquet per sei mesi ma che ha compromesso il mio contributo alla Nazionale.
Mentre giocavo, nel 2013, ho conseguito regolarmente il diploma di Liceo Scientifico Tecnologico all’Istituto Cesaris di Casalpusterlengo, e ho anche provato i test di ammissione per frequentare Scienze Motorie e Fisioterapia ma non sono stato ammesso a nessuna delle due facoltà: questo perché avrei voluto garantirmi un futuro una volta raggiunta l’età ‘pensionabile’ come cestista.
L’estate successiva alla seconda stagione in Urania Milano, quindi nel 2015, mentre mi allenavo da solo, da buon abitudinario, nel campetto del Campus, il Presidente Curioni e l’allora Coach Finelli mi hanno avvicinato e proposto di giocare nella Prima Squadra Ucc Assigeco da subito. Ovviamente e senza nemmeno pensarci troppo, ho accettato: tornare a casa e, soprattutto, avere l’opportunità di giocare in Serie A2 era comunque un sogno che si avverava!
Ho ringraziato tutti, a Milano, per le due stagioni trascorse lì che, ripeto, mi han dato tanto a livello di esperienza cestistica, ed ho cominciato la preparazione estiva pre-campionato con la mia ‘nuova’ squadra.
Eravamo un bel gruppo, coeso e compatto, indubbiamente. Mi piaceva giocare con questi ragazzi, per il poco tempo che sono riuscito a condividere con loro.
Il 19 settembre 2015 a Manerbio, durante una della pertite amichevoli pre-campionato, mentre ero in campo, è successo quello che nessuno si sarebbe mai aspettato, io per primo: il mio cuore di ventiduenne sportivo e preparato si è fermato all’improvviso ed ha smesso di battere sino a che, dopo oltre 40 minuti di massaggio cardiaco, sono stato defibrillato e portato in ospedale dove sono rimasto in coma una settimana di cui, per fortuna, non ricordo assolutamente nulla.
Da quel momento è cambiato tutto.
Dopo la settimana in ospedale a Manerbio sono stato trasferito al Centro Cardiologico Monzino di Milano, dove i medici hanno eseguito ogni esame possibile senza riuscire a trovare una vera diagnosi né causa al mio arresto cardiaco e dove, per un mese, sono stato sottoposto ad un programma riabilitativo lento per riuscire a scongiurare ogni eventuale ‘ricaduta’. Mi hanno impiantato un defibrillatore sottocutaneo che funziona automaticamente in caso di eventuale arresto cardiaco improvviso; posso comunque fare lunghe passeggiate e anche attività in palestra, al Campus, per tenermi in forma.
Ma non gioco più a basket.
Dopo 16 anni di parquet, allenamenti, partite, vita da spogliatoio con vecchi e nuovi compagni, uscite alla sera dopo le partite con gli amici della squadra, trasferte, nulla di tutto questo fa più parte della mia vita e mi manca immensamente.
Mi rendo conto di essere stato fortunato perché sono qui a raccontarlo e non sotto terra, dove probabilmente sarei finito se la dott.ssa Merighetti, presente alla partita di Manerbio come spettatrice, non mi avesse rianimato e praticato il massaggio cardiaco per tanto tempo, evitandomi anche danni cerebrali, eventualmente dovuti all’ipossia in seguito all’arresto.
Però il basket farà sempre comunque parte della mia vita, come l’ha fatto da quando avevo 6 anni e sino al quel maledetto 19 settembre, anche se in modo diverso: è una passione che non finirà mai.
Il Presidente Curioni, che non finirò mai di ringraziare anche per le attenzioni che mi ha dedicato nel periodo della convalescenza, mi ha proposto di poter restare in famiglia Assigeco e di occuparmi del basket in modo differente: non più sul parquet, evidentemente, ma direttamente nelle retrovie degli uffici amministrativi ed organizzativi della Società, sempre all’interno del Campus, affiancando la nostra segretaria storica, Mariangela, che mi sta insegnando tutti i trucchi del mestiere, e anche il nostro Direttore Sportivo Anconetani. E’ decisamente un’ottima opportunità di lavoro in un ambiente sano, bello, positivo.
Mi è stata concessa una seconda opportunità, di vita e di lavoro, e intendo sfruttare entrambe al meglio, in ogni momento, avendo capito, in seguito al trauma subito, l’importanza delle cose e le priorità: la mia vita, la mia salute, vengono prima di qualsiasi altra cosa.
Inoltre mi piace pensare che da una cosa brutta che è successa a me possa nascere una cosa bella per tutti: creare con Assigeco progetti di prevenzione e sensibilizzazione e di pronto intervento in caso di arresti cardiaci sui campi da gioco, di tutti gli sport, e per l’importanza della presenza del DAE, il defibrillatore, in ogni campo, palazzetto, palestra, piscina, centro sportivo.
Nel mio piccolo voglio essere un esempio per tutte le persone che hanno sofferto per problemi di salute, cui, magari, sono state tolte le cose importanti: se ce l’ho fatta io, con la sola forza di volontà, credo ce la possono fare tutti. La malattia e la sofferenza fisica sono processi importanti che fanno maturare e crescere e che ho orgogliosamente superato.
Mi piace pensare che, alla fine, ho vinto la partita più importante e anche se la strada sarà ancora lunga, voglio godermela al meglio e poter ricambiare il grande affetto delle persone che hanno dimostrato di tenere a me e volermi bene e mi hanno sostenuto fino ad ora.''