Daniel Hackett alla conquista di Milano
Intervista col giocatore dell'Olimpia
Daniel Hackett è il protagonista del “Game Program” della partita tra EA7 Emporio Armani e Unicaja Malaga che verrà distribuito giovedì 20 febbraio al Pala Desio prima della settima giornata di Eurolega.
Vivere da Daniel Hackett. Succede quando sei un giocatore italiano ma di grande popolarità, fascino e ti trovi a giocare all’improvviso nel cuore del jet-set milanese, nel club che porta due stelle sul petto. Vivere da Daniel Hackett, confessarsi a Italia1 in controtendenza con quello che succede al basket italiano, spesso poco considerato in certi consessi. Le perle: Daniel tira con la mano sinistra eppure è destro. L’intuizione fu del suo allenatore nelle giovanili di Pesaro. Questo spiega come abbia fatto un paio di volte a segnare di destro con tiri in sospensione da qualche metro con un coefficiente di difficoltà altissimo. “Io scrivo, mangio, calcio con la destra ma tiro con la sinistra”, spiega Daniel come se fosse la cosa più semplice e normale di questo mondo. Il sogno di Daniel – forse sarebbe più appropriato definirlo un proposito – è tornare a vivere a Los Angeles, sulle colline hollywoodiane. Quando giocava a Southern California conobbe Will Ferrell, l’attore comico, che aveva frequentato la stessa università di Daniel ed era presenza fissa alle partite di USC. Sempre rimanendo nel cinema, il padre di Daniel, Rudy ha giocato alla Mt.Vernon High School a New York insieme alla star Denzel Washington, che adesso è un amico di famiglia.
GQ invece è una rivista che piace alla gente che piace, quindi Hackett è perfetto per quelle pagine che mischiano moda, lifestyle e spensieratezza. Hackett apparirà sul numero di marzo. Lo shooting fotografico, indossando i capi Armani più differenti, dal classico allo sportivo, richiede circa due ore, incluso un filo di trucco e la cicatrice rossa che, sotto l’occhio sinistro, appare e scompare come se si trattasse di una magia. Hackett trascende il basket, forse anche lo sport in questo momento. Si racconta, si interessa, è magnetico. Ha tanto da raccontare. Regala altre perle: “Il basket è lo sport più bello perché è l’unico che tende verso l’alto”. E quando deve descrivere la sua voglia di migliorare dice: “Il basket è un libro in cui ci sono sempre pagine da scrivere”. Come dire? Non ci sono limiti ai progressi. La prossima estate magari giocherà anche prima di andare in Nazionale nella Drew League, una specie di torneo amatoriale di Los Angeles dove i grandi professionisti si sfidano con le leggende del basket da strada e prodotti locali come Nick Young che giocava a Southern California come Hackett. “Non ci ho mai giocato, mi piacerebbe vedere com’è…” sorride Daniel. Magari insieme a Casper Ware, il miniplaymaker di Bologna che giocò contro di lui al liceo a Los Angeles e il cui padre era una specie di leggenda del basket da strada californiano. Hackett è questo, unisce due mondi diversi, la cultura europea in campo e fuori e quella americana, in campo e fuori per cui può disquisire di ranking NCAA, di NBA e di Nazionale italiana con la stessa facilità. Può dire di aver giocato nella prima partita mai disputata al Galen Center di USC ma di apprezzare anche il Forum di Milano strapieno, “perché è un’emozione fantastica”.
Il Grande Cocomero è la trasposizione italiana della “Grande Zucca”, format televisivo americano. Va in onda su Rai 2, conduce il dj (di Radio DeeJay) Linus. Hackett è stato scelto per parlare di basket ma anche della sua storia, così simile, forse anche più eccessiva, di quella di Kobe Bryant. “Dovevo nascere a Istanbul, dove mio padre stava giocando – racconta – ma mia madre voleva che nascessi in Italia e nel dicembre del 1987 prese l’aereo e tornò a casa per farmi nascere in Romagna”. Quand’era bambino provò come tutti con il calcio. terzino sinistro. Provino per la squadra di Pesaro nella quale giocò anche Massimo Ambrosini, pesarese anche lui poi per tanti anni stella del Milan. “Mio padre mi boicottò, non mi comprò mai le scarpe con i tacchetti. Il giorno del provino pioveva di brutto e nel fango, con le scarpe da basket, fu un disastro. Mi disse di tornare in palestra”, ride. Fu il miglior consiglio che potesse dargli come quando gli propose di trasferirsi a Los Angeles scrivendogli una lettera nascosta dentro una scarpa da basket. A quei tempi Daniel aveva un idolo che si chiamava Edgar Davids: gli piaceva come giocava, l’energia ma gli piacevano anche le treccine. Ora il calciatore che conosce di più è l’ex centravanti dell’Empoli, Massimo Maccarone. “Big Mac” come lo chiamavano in Inghilterra e come lo chiama anche lui. Ma è anche amico di Pippo Magnini, ex campione del mondo dei 100 stile libero, pesarese come lui, altro personaggio che trascende lo sport.
Piace pescare ad Hackett (“A Pesaro ho i miei posti…”), gli piacciono le scarpe da basket, le colleziona, gli piace vincere. “Quando vado in campo mi trasformo, mi sento in battaglia”, ammette per separare il suo sguardo truce quando è sul parquet dai modi gentili di quando è fuori del parquet. Non ha problemi a registrare uno spot contro la fibrosi cistica perché è un dovere sociale e un piacere personale. Ed è riconoscente. “Coach Luca Banchi? Mi ha insegnato a vincere”, ammette. Giocava con il 13 al college, il numero che da qualche parte ha anche tatuato, ha giocato con il 23 a Siena e gioca con il 12 a Milano per sentirsi un po’ Antonello Riva, amico di famiglia, allenato dal padre a Pesaro, ma che a Milano ha vinto meno di quanto avrebbe potuto, dovuto e soprattutto di quanto vuole vincere Hackett.