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Serie A 13/08/2018, 17.16

Reyer Venezia: intervista doppia Meneghel-Sartori

E’ un percorso parallelo, quello di Roberta Meneghel e Mauro Sartori, due importanti figure manageriali di Umana Reyer femminile e maschile

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E’ un percorso parallelo, quello di Roberta Meneghel e Mauro Sartori, due importanti figure manageriali di Umana Reyer femminile e maschile: dopo aver vestito la maglia orogranata (ed aver vestito i gradi di capitano), i due team manager delle prime squadre del club hanno infatti cominciato contemporaneamente (nell’estate 2013 – Sartori ha avuto una precedente esperienza in orogranata nell’annata 2009-2010) la loro esperienza dirigenziale all’interno del club. Alla vigilia dell’inizio della loro sesta stagione dietro la scrivania reyerina, li abbiamo dunque sentiti nella classica intervista doppia.

In questi sei anni, come avete visto evolvere la società?

Meneghel: Sicuramente tutta la famiglia dell’Umana Reyer è cresciuta in maniera esponenziale. Siamo un bel gruppo, che ogni anno vuole mettersi in gioco e cercare di migliorarsi. E’ vero quel che dice coach De Raffaele, quando ci definisce “umilmente ambiziosi”, perché la base di tutto resta quell’umiltà che nessuno di noi ha perso, ma c’è anche la voglia di provare a crescere anno dopo anno, partendo dalle piccole cose e arrivando a quelle più importanti. Il nostro motto è quello di non accontentarci mai.

Sartori: Quando sono tornato qui, avevo fatto già alcune esperienze diverse, anche a livello dirigenziale, e questo mi ha dato modo di poter essere sicuramente pronto a quello che, già si percepiva, sarebbe diventata l’Umana Reyer. Ho quindi sfruttato e cercato di mettere a disposizione il mio bagaglio personale e professionale per affrontare al meglio le situazioni e spero che questo sia riuscito a dare un contributo per la crescita del più ampio progetto che la Reyer ha portato avanti, cogliendo risultati importanti sia al maschile che al femminile, ma ancor prima a livello giovanile.

E, pensando al vostro ruolo, che cammino avete compiuto, in questo periodo?

M: Devo dire che, rispetto all’inizio, ho imparato veramente tanto, grazie alle persone che mi sono state vicine: dalla proprietà al presidente Casarin, da Paolo De Zotti allo stesso Mauro Sartori, con cui ci confrontiamo spesso. Dal canto mio, ho affrontato la sfida con grande voglia di imparare, sia in campo che fuori. Poter contare sul supporto di tante persone aiuta a crescere: ho ricevuto un valido appoggio da parte di tutti e credo di poter dire che, tutti insieme, siamo arrivati a un buon livello.

S: Soprattutto nei primi anni, nel mio ruolo di responsabile, ho svolto principalmente il ruolo di collante tra l’organizzazione societaria e la vita quotidiana della squadra. L’evoluzione del mio ruolo è passata soprattutto attraverso l’attestazione di fiducia che la società mi ha dato, affidandomi la responsabilità degli scouting: questo mi ha permesso di essere ancor più coinvolto all’interno dell’organizzazione della squadra, attraverso il confronto con giocatori, club e società.

Entrambe le squadre guardano con attenzione anche oltre oceano: cosa ci potete dire, riguardo alla collaborazione al femminile con i College USA e, al maschile, relativamente alle occasioni di confronto diretto con la realtà americana che si ripetono ogni anno?

M: L’aspetto più importante delle opportunità che vengono fornite alle nostre giovani ragazze a livello di College, secondo me, è sicuramente quello di poter venire a contatto con strutture di altissimo livello e all’avanguardia. Questo dà loro la possibilità di giocare e studiare contemporaneamente, cosa che da noi è molto difficile. Come in tutte le cose, comunque, ci sono pro e contro: quattro anni di College sono un periodo di tempo importante, considerando che è basket giovanile, mentre le ragazze che crescono in Italia hanno l’opportunità di confrontarsi con giocatrici delle prime squadre. Tuttavia, ancora non abbiamo infatti avuto occasione di verificare direttamente il livello di crescita delle prime ragazze che hanno sperimentato questa strada. Aspettiamo i primi rientri e potremo dire di più: intanto, prendiamo il buono che, anche a livello personale, questa esperienza aggiunge al bagaglio di ciascuna di loro.

S: Nel confronto diretto che ogni anno ho negli Stati Uniti con i rappresentanti delle società americane ho potuto prima di tutto confermare che, anche per chi magari non ha mai sentito parlare di Reyer, l’affiancare il nome della società a quello di una città come Venezia è certamente un “plus”, che permette di essere ascoltati anche ai massimi livelli. Comunque, in questi anni, anche all’estero si è parallelamente affermata la fama dell’Umana Reyer come una società solida, seria, che ha progetti ben mirati e che è stata capace di compiere passi avanti non solo a livello senior, ma anche a livello giovanile. Posso dire che, ormai, questo è risaputo e, spesso, sono i miei interlocutori a chiedere per primi aggiornamenti su quello che stiamo organizzando. Tutto questo permette di avviare sempre più contatti e ampliare quel network che si traduce poi nel poter fare le scelte migliori.

Che opportunità in più offre, per il vostro lavoro, avere all’interno della stessa società due squadre, femminile e maschile, di vertice?

M: Certamente lavorare quotidianamente a contatto di una prima squadra maschile che sta ai vertici del proprio panorama è di grande aiuto e stimolo. Ci sono, inoltre, sicuramente analogie, anche perché la pallacanestro è una sola e, quindi, sulle cose pratiche ci possiamo ritrovare, confrontandoci di continuo. Devo ammettere che spesso e volentieri rompo le scatole a Mauro per chiedergli consigli, anche perché ha tante conoscenze. Ho grande stima di lui, perché sa fare ottimamente il suo mestiere.

S: E’ vero: sono tante le cose su cui ci confrontiamo con Roberta. La particolarità dei nostri rispettivi ambiti è che le cose da fare o sono perfettamente coincidenti o totalmente diverse: sulle cose analoghe, dunque, ci possiamo confrontare, fornendoci reciprocamente spunti anche per trovare nuove soluzioni. Mi è capitato, ad esempio, di suggerire a qualche agente che noi abbiamo anche una squadra femminile: il progetto dell’Umana Reyer è talmente particolare che consente di avviare sinergie raramente riscontrabili altrove. E poi, potersi presentare con un biglietto da visita fatto di un grande vivaio e due squadre di livello europeo offre davvero un’opportunità importante.

Per concludere, non può mancare la vostra “presentazione” delle nuove squadre…

M: Quest’estate, insieme alla società, abbiamo deciso di cambiare molto, concentrandoci prima di tutto sulle italiane e rinnovando completamente, in particolare, l’intero pacchetto delle straniere. Ci servirà quindi un po’ di tempo per trovare le giuste alchimie, ma penso che siano arrivate ottime persone, pronte a mettere il proprio contributo a disposizione della squadra, e che quindi quella che abbiamo costruito sia una squadra che abbia nel DNA grande disponibilità al lavoro e alla condivisione. Quella che volevamo era una tipologia di squadra diversa dal passato, puntando ancor più sul gruppo: è quello che abbiamo sempre fatto, ma adesso abbiamo accentuato ulteriormente questo aspetto, per poter avere ogni volta una protagonista diversa.

S: Ogni anno si cerca di confermare un nucleo di giocatori per dare continuità al progetto tecnico di società e staff. Tuttavia non è sempre facile per diverse ragioni: è dunque motivo di soddisfazione aver confermato ben otto giocatori della passata stagione in cui la squadra ha vinto regular season e FIBA Europe Cup. Al di la dei giudizi tecnici, posso dire che abbiamo un gruppo fatto di persone che, per la maggior parte, conosciamo bene; ma anche i nuovi arrivati mi sembrano profili in grado di inserirsi rapidamente e al meglio all’interno del nuovo contesto.

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E. Carchia

E. Carchia

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