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Serie A 18/04/2018, 18.07

A Tu per Tu con Maurizio Tassone: La laurea, l'idolo Dejan Bodiroga e l'omaggio ad Alphonso Ford

Dalle Minors, all’approdo in Serie A. La scalata di Maurizio Tassone è stata lunga e molto faticosa, tra mille sacrifici e rinunce

Serie A

Dalle Minors, all’approdo in Serie A. La scalata di Maurizio Tassone è stata lunga e molto faticosa, tra mille sacrifici e rinunce. L’esterno torinese, arrivato inizialmente alla Red October Cantù come aggregato alla prima squadra, con il sudore e l’impegno ha saputo meritarsi una conferma che gli ha permesso di realizzare il sogno di una vita: giocare nel massimo campionato italiano. Ma il cammino di Maurizio Tassone, figlio di Guido ex allenatore dell’Auxilium Torino, non è stato per nulla semplice. Tanta gavetta tra Serie C e Serie B con le maglie di CUS Torino, Edimes Pavia e Pallacanestro Moncalieri-San Mauro, poi la chiamata a sorpresa di Cantù la scorsa estate e la permanenza in Brianza, fino ad arrivare all’esordio tanto sognato in A, dove è uno dei pochissimi giocatori del campionato ad aver conseguito la laurea magistrale. Di seguito l’intervista sia video che scritta:


I RICORDI DEGLI ANNI AL CUS TORINO
«Il CUS Torino è la società dove sono nato e cresciuto cestisticamente. Ho fatto tutta la trafila delle giovanili, dal minibasket fino ad arrivare alla prima squadra. In quelle stagioni sono cresciuto davvero tanto, sia in campo che fuori visto che si formavano ogni anno sempre dei bellissimi gruppi. Passavamo tanto tempo insieme, anche in estate, sicuramente ho dei grandi ricordi».


IL PRIMO TRASFERIMENTO, A PAVIA
«Lasciare casa non è stato semplicissimo ma sicuramente farlo per un motivo come la pallacanestro mi ha aiutato molto a sopperire alla mancanza degli amici e della mia famiglia. Poi, in il realtà, ero lontano soltanto un’ora e mezza di macchina da casa. Spesso tornavo, soprattutto il primo anno. Dal secondo in poi, invece, mi fermavo sempre a Pavia, anche il weekend ed il lunedì di riposo».


NEL TEMPO LIBERO
«Nel tempo libero mi piace condividere dei momenti fuori dal campo con i miei compagni di quadra, ovviamente quando questo è possibile. Poi cerco soprattutto di passare del tempo con la mia famiglia, quando sto fuori da casa per la pallacanestro cerco di dedicarle tanto tempo».


LA SCELTA DEL NUMERO DIECI
«La scelta di indossare la maglia numero dieci è nata prima di tutto perché era il numero utilizzato da Dejan Bodiroga quando giocava a Roma, mio idolo quando ero bambino. Ma la motivazione che mi appartiene di più è che sento più mia è quella legata alla scomparsa di Alphonso Ford, altro mio idolo. Il giorno che è venuto a mancare scelsi di indossare il numero dieci in suo onore ».


LA PARTITA IN CASA CON TORINO
«Cantù-Torino è stata una partita particolare per tutta la mia famiglia. Mio papà e mia mamma sono venuti al palazzetto, a Desio, e questa cosa mi ha fatto davvero molto piacere. Una parte della nostra famiglia è tutta torinese di nascita ma, anche se le due cose vanno un po’ in contrasto, diciamo che sta diventando molto canturina».


IL PERCORSO UNIVERSITARIO
«Sicuramente non è stato facile, però i due percorsi (studio e basket) sono andati di pari passo. Quando ho giocato a Torino mi sono laureato all’Università degli Studi di Torino, poi per fortuna sono andato a giocare  a Pavia che aveva un’università molto importante che mi ha permesso di continuare gli studi e di conseguire la laurea magistrale».


UNA RELAZIONE AMOROSA CON UNA CESTISTA
«Non è semplice avere una relazione con una persona che fa il tuo stesso lavoro. D’estate poi, ogni anno veniamo catapultati in mezzo al mercato e, quindi, è possibile che spesso i chilometri di distanza aumentino. Ma sono comunque sacrifici che si fanno per una buona causa ed a fine partita ci si capisce sempre: se si perde le domande diminuiscono, se si vince si può parlare tranquillamente di pallacanestro».

© Riproduzione riservata
E. Carchia

E. Carchia

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