Fiat Torino, il mantra di Michele Siragusa: Il lavoro paga
Le parole di coach Siragusa
Si è appena conclusa la finale contro la Germani Basket Brescia, una vittoria agguantata negli ultimi secondi di un match combattutissimo; mentre tutti i giocatori si riversano sul campo per festeggiare l’impresa, coach Michele Siragusa corre ad abbracciare suo fratello Marco, che per tutti i 40 minuti lo ha accompagnato con lo sguardo da bordo campo in questa incredibile avventura. Un trofeo tanto inaspettato, quanto meritato da un trio di allenatori tra i più giovani della serie A. Michele, classe ’87, al suo terzo anno da assistente nel club gialloblù e capo allenatore U20 dell’Auxilium Cus Torino, commenta con educata discrezione la settimana a Firenze, ma dal sorriso che gli si disegna in volto quando ricorda le partite, si percepisce tutto l’orgoglio per questo traguardo storico che ripaga i tanti sacrifici fatti.
Come hai vissuto la finale, durante la partita e dopo. Cosa ti rimarrà più impresso dei festeggiamenti? Li divido in tre parti: in campo dopo la partita, a cena con tutto lo staff tecnico, dirigenziale e i giocatori e la serata con i colleghi più giovani. In campo c’è stata un’esplosione incontenibile di gioia, e pensare che fino a pochi istanti prima su quello stesso parquet si stava combattendo punto a punto per il titolo. Potere abbracciare mio fratello con la coppa stretta fra le mani è sicuramente il ricordo più prezioso che ho e che custodisco con maggiore affetto.
Come hai vissuto questo ennesimo cambio di guida tecnica e la preparazione delle Final Eight in un periodo della stagione decisamente difficile? Quello vissuto con Paolo Galbiati e Stefano Comazzi è stato un cambio di guida che ci ha portato a dover ricalibrare l’assetto. Tutto però è stato facilitato dalla grande professionalità dei miei colleghi; oltre ad essere allenatori eccellenti sono due persone equilibrate e intelligenti. Hanno capito immediatamente l’urgenza del momento e la squadra li ha seguiti. Per me la preparazione delle Final Eight era iniziata più di un mese fa, facendo scouting in anticipo: conoscevo l’importanza di arrivare alla partita con Venezia pronti, cercando di abbattere le incertezze nella preparazione della gara. Ho lavorato dedicando e incanalando tutte le mie energie soltanto verso la pallacanestro.
Qual è la parte del tuo lavoro che ti piace di più e quella che ti piace di meno? Tutto quello che ruota intorno alla preparazione della partita e lo studio degli avversari fa parte del lato più stimolante. Studiare una singola partita richiede circa tre ore e questo ti pone davanti a scelte da valutare e situazioni nuove da affrontare. Ciò è accaduto soprattutto durante l’Eurocup. Sicuramente è meno coinvolgente vivere la partita al di fuori della panchina. Nonostante questo, poter vedere il match da dietro le quinte durante il campionato mi permette di avere una visione più pacata anche grazie all’utilizzo dei video in tempo reale.
Cosa significa per te aver vinto la Coppa Italia? Averlo fatto a Torino, città in cui sono nato, per me ha un valore straordinario. Ho iniziato a giocare letteralmente folgorato da un corso di Minibasket in un post scuola in quinta elementare. Appena ne ho avuto la possibilità ho iniziato ad allenare in alcuni club, anche non blasonati. I miei primi passi in veste di allenatore li ho mossi prima al Basket Venaria e poi all’Amatori Savigliano. Alzare il trofeo per me significa dare valore alla frase “alla fine il lavoro paga”. C’è ancora tanto da lavorare: la stagione è ancora lunga e l’obiettivo playoff è sempre presente.
Come ti immagini i prossimi mesi e qual è il tuo obiettivo personale per questa stagione? I playoff sono un obiettivo percorribile. Nonostante la quota da raggiungere non sia eccessiva sappiamo bene che dobbiamo affrontare le prossime undici gare come undici finali. Le contendenti ai playoff lotteranno per i due punti e un posto alto nella griglia playoff, mentre squadre come Venezia, Cremona e Brescia avranno il dente avvelenato dopo le Final Eight disputate contro di noi. Immagino il lavoro dei prossimi mesi con lo stesso spirito di sacrificio e dedizione per il gioco della pallacanestro fino a ora trovato e dimostrato. Lo stesso spirito che ci ha portato ad affrontare preparati una manifestazione importante come le Final Eight e che ci accompagnerà per le partite conclusive della stagione.
Come hai vissuto la finale, durante la partita e dopo. Cosa ti rimarrà più impresso dei festeggiamenti? Li divido in tre parti: in campo dopo la partita, a cena con tutto lo staff tecnico, dirigenziale e i giocatori e la serata con i colleghi più giovani. In campo c’è stata un’esplosione incontenibile di gioia, e pensare che fino a pochi istanti prima su quello stesso parquet si stava combattendo punto a punto per il titolo. Potere abbracciare mio fratello con la coppa stretta fra le mani è sicuramente il ricordo più prezioso che ho e che custodisco con maggiore affetto.
Come hai vissuto questo ennesimo cambio di guida tecnica e la preparazione delle Final Eight in un periodo della stagione decisamente difficile? Quello vissuto con Paolo Galbiati e Stefano Comazzi è stato un cambio di guida che ci ha portato a dover ricalibrare l’assetto. Tutto però è stato facilitato dalla grande professionalità dei miei colleghi; oltre ad essere allenatori eccellenti sono due persone equilibrate e intelligenti. Hanno capito immediatamente l’urgenza del momento e la squadra li ha seguiti. Per me la preparazione delle Final Eight era iniziata più di un mese fa, facendo scouting in anticipo: conoscevo l’importanza di arrivare alla partita con Venezia pronti, cercando di abbattere le incertezze nella preparazione della gara. Ho lavorato dedicando e incanalando tutte le mie energie soltanto verso la pallacanestro.
Qual è la parte del tuo lavoro che ti piace di più e quella che ti piace di meno? Tutto quello che ruota intorno alla preparazione della partita e lo studio degli avversari fa parte del lato più stimolante. Studiare una singola partita richiede circa tre ore e questo ti pone davanti a scelte da valutare e situazioni nuove da affrontare. Ciò è accaduto soprattutto durante l’Eurocup. Sicuramente è meno coinvolgente vivere la partita al di fuori della panchina. Nonostante questo, poter vedere il match da dietro le quinte durante il campionato mi permette di avere una visione più pacata anche grazie all’utilizzo dei video in tempo reale.
Cosa significa per te aver vinto la Coppa Italia? Averlo fatto a Torino, città in cui sono nato, per me ha un valore straordinario. Ho iniziato a giocare letteralmente folgorato da un corso di Minibasket in un post scuola in quinta elementare. Appena ne ho avuto la possibilità ho iniziato ad allenare in alcuni club, anche non blasonati. I miei primi passi in veste di allenatore li ho mossi prima al Basket Venaria e poi all’Amatori Savigliano. Alzare il trofeo per me significa dare valore alla frase “alla fine il lavoro paga”. C’è ancora tanto da lavorare: la stagione è ancora lunga e l’obiettivo playoff è sempre presente.
Come ti immagini i prossimi mesi e qual è il tuo obiettivo personale per questa stagione? I playoff sono un obiettivo percorribile. Nonostante la quota da raggiungere non sia eccessiva sappiamo bene che dobbiamo affrontare le prossime undici gare come undici finali. Le contendenti ai playoff lotteranno per i due punti e un posto alto nella griglia playoff, mentre squadre come Venezia, Cremona e Brescia avranno il dente avvelenato dopo le Final Eight disputate contro di noi. Immagino il lavoro dei prossimi mesi con lo stesso spirito di sacrificio e dedizione per il gioco della pallacanestro fino a ora trovato e dimostrato. Lo stesso spirito che ci ha portato ad affrontare preparati una manifestazione importante come le Final Eight e che ci accompagnerà per le partite conclusive della stagione.
© Riproduzione riservata