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Serie A 05/07/2016, 07.58

Omar Thomas raccontato dal NY Times

I trascorsi del nuovo acquisto della Vanoli Cremona ai tempi dello junior college texano di Panola

Serie A
Ecco la nostra libera traduzione dell'articolo sul NY Times del 16 marzo 2005 dedicato a Omar Thomas e intitolato: "Scared Straight Into the Courts of Basketball".
Di Pete Thamel


PANE E BURRO - Era un pomeriggio caldissimo. Di quelli che tolgono il fiato. In quei giorni anche solo respirare poteva costituire un problema a Carthage, Texas, e forse non è un caso che in italiano si traduca “Cartagine”, come l'antica città del Nord Africa. E' qui che coach Doc Sadler entra per la prima volta in quella camera del dormitorio che fa capo al junior college di Panola. E' il 2003. “Vuoi uno, coach?”. Ad aspettarlo in quella stanza c'è Omar. Sorride, seduto sul suo letto. Quel calore asfissiante non lo turba in alcun modo e Sadler questa cosa non la scorderà mai. Omar Thomas sorride. Ci sono solo lui, i suoi panini al burro di arachidi e gelatina e quel caldo killer. Una forte sensazione di disagio sta per travolgere Doc eppure quel ragazzo sorride. “Vuoi un sandwich, coach?”.

IL SORRISO - Non è finita. Sadler si siede, i due chiacchierano a lungo. Finché non arrivano le cattive notizie. Almeno è quello che pensa il coach. L'addetto alla manutenzione bussa ed entra nella stanza. “L'aria condizionata non verrà riparata prima di due settimane”. Due settimane in quel caldo infernale. Questo ragazzo dovrà cambiare camera o morirà. Macché. Omar fa spallucce. “Va bene così, resto qui -quel sorriso proprio non vuole andarsene- sono stato in situazioni molto peggiori di questa”.

IDOLO - Coach Sadler si innamora subito di Thomas. Prima come persona poi come giocatore, swingman sotto i due metri, adorabile fuori dal campo ma spietato sul parquet. Lo porterà a El Paso ed è proprio così che diventerà un idolo all'università locale di Utep, trascinandola per due stagioni al più importante torneo collegiale americano, la Ncaa.
SBARRE - “Sono stato in situazioni peggiori”. Dio quanto era vero. Omar aveva trascorso tre mesi in riformatorio quand'era ragazzino come d'altronde accadeva a tantissimi ragazzini a North Philadelphia, la parte nord della città dove la criminalità impatta ad altissima percentuale. Tre mesi per aver compiuto “rapine, piccoli furti e perché picchiavo i bambini piccoli” le parole sono proprio le sue, sono proprio quelle di OT. Suo padre? In carcere. I suoi due fratelli? Assieme a lui. Tentato omicidio.
LA FAMIGLIA - Nessuna figura paterna, le persone più importanti nella vita di Omar sono due donne: la madre Hazel e la sorella maggiore, Elaine. Il riformatoio? Una specie di terapia d'urto, l'unico modo possibile per cementare nella testa di quel ragazzo dove può portarlo una vita senza istruzione, senza equilibrio, senza legge.
OVERTIME - Al college di Panola, a Carthage, diventa il miglior marcatore nella sua storia. Cioè lì praticamente è una specie di divinità. Il più forte di tutti i tempi. OT è il soprannome con cui lo chiamano amici e allenatori. Non sta per overtime. O forse sì. Tempi supplementari, come se quel ragazzo dopo il riformatorio avesse avuto un'altra possibilità. E ce l'ha avuta. Eccome se ce l'ha avuta. Una sola costante. Il sorriso, quello che ha conquistato Sadler, l'arma con cui Omar ha affrontato tutti gli ostacoli che la vita gli ha messo di fronte. "E' un ragazzo che avrebbe tutte le
ragioni per essere arrabbiato con il mondo -risponde coach Sadler- Eppure, a guardarlo, sembra quasi non abbia mai avuto una brutta giornata nella sua esistenza”.

BEAUTIFUL DAY - La giornata più bella invece è il 5 marzo 2005, Utep affronta in casa Boise State. La madre di Thomas prende l'aereo per la prima volta nella sua vita. Deve farlo se vuole assistere a quella che sarebbe stata l'ultima partita a El Paso di suo figlio con i Miners, tradotto: i Minatori della University of Texas El Paso (Utep, appunto). Hazel non aveva mai visto giocare dal vivo il figlio al college. E raramente riusciva ad andare a vederlo pure al liceo. Perché per pagargli gli studi faceva due lavori: gestiva una sala bingo di giorno e di notte lavorava come domestica, assistendo gli anziani. Omar chiamava Hazel “nonna”. Sisì nonna, non mamma. Per OT “mum” era la sorella maggiore, Elaine, l'altra persona più importante della sua vita. A El Paso ovviamente, quel 5 marzo, c'era anche lei. “Quello che mi ha colpito è stato l'affetto dei tifosi. Sconvolgente, ma per davvero. Uomini e donne con gli occhi grondanti di lacrime ci chiedevano di lasciare Omar in Texas ancora un altro anno anche se aveva finito gli studi”. Anche Hazel si metterà a piangere. Elaine no, una donna di ferro lei che di lavoro faceva l'agente di polizia nel 35esimo distretto di Philadelphia. “Tutta aparenza, dirà in seguito. Dentro di me ho pianto tanto anch'io, ve lo giuro. E' stato bellissimo. La gente a El Paso ha un grande cuore. Ci ha fatto sentire come se fossimo a casa". Una serata emozionante, incredibile. Ma non una serata perfetta. Qualcuno mancava. Mancava lui. Clayton Thomas, il padre di Omar. A El Paso quella sera il suo ragazzo segna 22 punti con 12 rimbalzi, Utep vince ovviamente ma lui non c'è. Allora, come adesso, Clayton si trova in un istituto di correzione di stato a Huntingdon, Pennsylvania, rapina e tentato omicidio, l'episodio risale al 1990. "Però parlai con lui al telefono -racconta Elaine- e si sentiva come se fosse stato li' con noi. Era davvero orgoglioso di Omar. Lo capii da come sospirava”.

NEVER MORE - D'altronde senza il padre Omar Thomas ha rischiato per davvero di andare fuori strada. Per molti la scuola è un percorso di crescita. Per lui è stato diverso. In riformatorio c'è finito addirittura prima di iniziare il liceo, una sorta di piccolo centro di recupero per giovani delinquenti a Uvalde, Texas. Tre mesi estenuanti ma fondamentali. Omar lo capirà presto. Le urla severe, quasi metalliche degli educatori, il lavoro fisico, la disciplina. Un'esperienza terribile, lui la ricorda così. Ma è anche grazie a essa che Omar non ha fatto la fine del padre e dei fratelli. “Ero giovane, ricordo una bruttissima sensazione. La notte piangevo spesso, mai una telefonata, una lettera. Mi sono detto: quando esco di qui non voglio tornarci. Mai più”.

IL BASKET - L'altra ancora di salvezza, ovviamente c'è anche il basket. Fisicamente straripante? Talento incommensurabile? Stavolta no. Non è la storia del fenomeno incompreso. Ma c'era una cosa che gli altri non avevano. Il cuore. Il suo sì che era grande più degli altri. Gioca, sbaglia, impara in fretta. Sviluppa movimenti solidi ed efficaci dal post imitando i più grandi. Non è altissimo ma riesce a trovare i suoi spazi usando il suo corpo, adeguando i suoi movimenti alla fisicità degli avversari. "Il mio è un gioco basato sui fondamentali, tutti i fondamentali. Si può dire quasi che gioco come un vecchio".

CINQUECENTO - Comincia ala, smette di crescere, è un metro e 93, sa che deve migliorare al tiro se vuole continuare a giocare a buoni livelli al college. E allora inizia a perfezionarsi, 500 canestri extra a notte. Quasi ogni notte. La palestra era la Gustin Lake Recreatin Center, un caldo soffocante, come quello nella sua stanza nel dormitorio di Cartagine. E pure pavimenti scivolosi ma poco importava: quello era il rifugio ideale per Omar dove crescere tecnicamente. Faceva tutto lui. Metteva la sveglia, si alzava e andava a chiamare David Anwar, il suo allenatore al liceo. “Sono io, OT. Mi apre la porta della palestra?”.
Al liceo, Omar Thomas porta Strawberry Mansion High School al titolo di stato nel suo ultimo anno.

BLACK JESUS - Girano diverse storie sul suo soprannome: Black Jesus. Qualcuno scrive che è nato sui campetti della strada, qualcun'altro sostiene che tutto è cominciato dopo una partita da 70 punti. Di sicuro quel soprannome, prima di lui, appartiene a Earl Monroe, tra i più grandi di sempre nella Nba, cresciuto come Omar a North Philly. Forse le movenze, forse quel cuore grande, chissà. Andatevi a rivedere la scena in cui Denzel Washington spiega a Ray Allen il motivo per cui nel film He Got Game di Spike Lee decide di chiamarlo Gesù. “Il Gesù dei campi da gioco, non il Gesù della Bibbia”. Ciò nonostante, Omar Thomas raccoglie poco interesse dai reclutatori di college. Era un marcatore prodigioso ma con un problema di ruolo: meno di due metri, ala forte. Difficile trovare qualcuno che punti su di lui.

GIOCHI DI RUOLO - Troppo basso per giocare sotto canestro e con un tiro da fuori ancora in costruzione. Arriva l'interesse di Coppin State, ma deve rinunciare, Omar non supera i test di ammissione. Tocca così a Scott Monarch, allenatore di Panola, trovargli la perfetta collocazione nella parte orientale del Texas. Lo recluta su consiglio di uno dei suoi ex giocatori, Will Chavis, a sua volta reclutato da Bobby Knight a Texas Tech. A Panola segna oltre 34 punti di media come matricola, 36 da sophomore, aggiungendo una media di quasi 18 rimbalzi a partita. Per lui Cartagine era l'ambiente ideale: "La sapete una cosa incredibile? Non ho mai sentito spari durante la notte!". Una volta salta le lezioni, in Italia si dice: marinare la scuola. Viene obbligato dal suo allenatore a correre per sette miglia. Forse gli tornano in mente i tre mesi in riformatorio. “Never more”. Mai più. E così dopo quella maratona massacrante, anche il rendimento scolastico di Thomas cambia. Lo studio non è più un problema, Omar diventa un bravo studente, lo sarà fino alla fine dell'università. “Non ho mai avuto un ragazzo così naturalmente portato al lavoro -dice di lui Monarch- Nel
basket e a scuola".

SMILE - Al suo primo anno ai Miners, Thomas diventa subito i leader segnando 15.5 punti a partita partendo dalla panchina in 22,5 minuti. La stagione successiva sale a 20,4 punti e 6,8 rimbalzi. Finalmente si comincia a parlare di lui. Omar Thomas e il suo sorriso luminoso. Omar Thomas e il suo gioco altrettanto luminoso, energia, carattere, cuore. Tra i suoi estimatori c'è anche Don Haskins. Sissignori, il coach oggi nella Hall of Fame che nel 1966 guidò Utep, allora si chiamava Western Texas College, al suo primo titolo della storia con una squadra di soli atleti neri battendo in finale Adolph Rupp e la sua Kentucky. "Non capisco -diceva Sadler- Non corre più veloce degli altri, non salta più degli altri. Dopo il liceo nessuna università lo ha reclutato. Ma c’è qualcosa di speciale in questo ragazzo”.

Traduzione e adattamento di Giacomo Iacomino
© Riproduzione riservata
A. Ferrari

A. Ferrari

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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 11 Commenti
  • SuperCrazy 06/07/2016, 15.23

    Questa è una tripla di chapeau. Al giocatore, al giornalist americano che ha scritto l'articolo e a chi l'ha tradotto :)

  • bobonelson 06/07/2016, 08.47

    Bellissimo articolo... :)

  • Falcao 05/07/2016, 19.28 Mobile

    Bella! Vediamo dopo 11 chi è diventato

  • Vanuzzocapitano 05/07/2016, 13.28 Mobile

    Un onore averti visto giocare per un anno intero, grandi meriti nella conquista della prima coppa Italia.

  • Timmybug 05/07/2016, 12.14 Mobile

    Bellissimo articolo...mi piaceva già come giocatore ora che conosco la sua storia lo apprezzo ancora di più...se non avesse avuto quel problema col passaporto avrebbe magari fatto anche una carriera superiore...grande O.T.

  • Splatwolf 05/07/2016, 10.06 Mobile

    grande cavallo pazzo...l'immagine di te che corri col bandierone in mezzo al campo mi resterà sempre impressa, sarà un piacere omaggiarti al tuo ritorno al Del Mauro

  • gusmanedemattei 05/07/2016, 09.44

    Se è proprio così, abbiamo fatto un grande acquisto. D'altra parte, O.T., devi sostituire un grande cuore, sempre con il sorriso sulle labbra, come DERON!

  • VIARUTA66 05/07/2016, 09.34

    Grande Omar, avrebbe meritato qualcosa in più in carriera, uomo affidabile che non tradisce mai, marcatore spietato, peccato averlo avuto solo un anno.

  • gnappoty 05/07/2016, 09.23

    MVP MVP MVP MVP

  • chemist 05/07/2016, 08.53 Mobile

    Complimenti, bell'articolo...

  • Obradoiro88J 05/07/2016, 08.48 Mobile

    Bel pezzo, davvero.