Le parole di Flavio Tranquillo, ospite alla trasmissione Pick “Pick’n’Pop”
Tranquillo è intervenuto a “Pick’n’Pop” su Radio Caserta Nuova
Ventiquattresima puntata di “Pick’n’Pop”, trasmissione radiofonica di Radio Caserta Nuova (Frequenza 100.0 a Caserta; in streaming su radiocasertanuova.com; podcast ogni giovedì sulla pagina ufficiale Facebook) di pallacanestro e musica condotta da Alessandro Aita e Ruben Romitelli, in onda ogni mercoledì dalle 19 alle 20.30. Nella puntata del 24 febbraio è intervenuto in trasmissione la voce della pallacanestro italiana, Flavio Tranquillo. I due conduttori, in compagnia di Lucio Bernardo, hanno esaminato pregi e difetti del movimento cestistico italiano e non.
Iniziamo da un legame speciale con Caserta: Romano Piccolo.
Con lui ho un legame particolare, nato negli anni in cui seguivo con regolarità la pallacanestro italiana, quando Caserta era una delle piazze, come oggi, nelle quali si passava spesso, e si è creato un legame che va oltre l’amicizia.
Un parere sullo stato della pallacanestro italiana.
Non è facile rispondere in poche parole. Bisognerebbe ricondurre tutto alle priorità giuste. La prima è dare una diversa struttura economica al nostro basket altrimenti non potranno essere risolti gli altri problemi che discendono da quello principale. L’assenza di risorse, il modo in cui vengono reperite, gli investimenti, ecco il problema principale. Senza affrontare quello è impossibile risolvere tutto il resto.
Blocco delle retrocessioni per far crescere le squadre. Che ne pensi?
Il blocco delle retrocessioni, il numero degli italiani in campo, quanti under giocano di per sé non risolverà la questione italiani. Se bloccassimo le retrocessioni è esclusa una risultanza diretta sulle questioni aperte in questo momento. Bisognerebbe capire perché avere più italiani fa la differenza. Penso possa fare molto di più creare giocatori italiani di buon livello per accrescere il livello del nostro basket. Se venissero a giocare in Italia giocatori come James, Durant, Davis, riempirebbero San Siro nonostante non fossero italiani. Se ci fossero le risorse per portare nel nostro Paese delle personalità del genere non esisterebbero problemi, nessuno si preoccuperebbe del numero di italiani in ogni squadra. Per poterne far giocare di più bisogna crearne di più, altrimenti diventa inutile.
Steph Curry in NBA sta facendo del tiro da tre punti l’arma principale. Anche il basket europeo sta cambiando sotto questo aspetto?
Non è un cambiamento in meglio o in peggio, ma una evoluzione naturale del gioco. Ci sono due cose che crescono in maniera velocissima: la componente atletica, soprattutto dei difensori, e la preparazione tattica delle difese. Bisogna quindi attaccare in maniera più adatta contro difese più preparate di ieri e molto più atletiche dell’altroieri. La prima cosa da fare è dunque giocare in migliori spazi, e tirare da tre punti diventa il primo obiettivo, anche perché un punto in più non è poco. Avere più spazio e un punto in più se segni fa sì che si tiri da tre in maniera più accentuata, ma bisogna capire da dove arriva questa ricerca altrimenti ci si confonde.
Il tuo parere su Peyton Siva e quanto ti piace vedere squadre che fanno dell’identità difensiva un vero e proprio credo.
Siva è un giocatore interessante, in una pallacanestro italiana può fare tanta differenza. È un giocatore diverso ma mi viene in mente Jerome Dyson, hanno cose paragonabili, nonostante non siano grandi lettori del gioco possono realmente fare la differenza nel nostro campionato. Sulla difesa, io sognerei un mondo in cui non bisogna dire che la difesa ha la stessa dignità dell’attacco. Si gioca in difesa e in attacco in parti uguali, i risultati dipendono in egual modo dalle due fasi. La difesa non è più importante in attacco ma nemmeno meno importante, se faccio la differenza nella mia metà campo posso far quadrare i conti anche dall’altra parte.
Ettore Messina sulla panchina della Nazionale per il preolimpico. Quanto può dare rispetto alle passate gestioni?
Tra di noi c’è un rapporto di stima notevole. Non sono dell’idea che la sua presenza dia delle possibilità in più di vincere il torneo preolimpico, si giocherà in una settimana scarsa con partite secche, la squadra si radunerà 15-20 giorni prima se va bene. In così poco tempo non può esistere una grande differenza di preparazione. Se Messina farà la differenza è perché si gioca in alcuni casi sulla percezione personale, ma si parla di poco. La palla in mano ce l’hanno i giocatori.
Saresti a questo punto per l’idea ‘calcistica’ di fare raduni della Nazionale durante la stagione, con le qualificazioni europee?
Naturale che la Nazionale ha una grande forza di trascinamento, ma la ha anche perché gioca una volta ogni due anni. Bisognerebbe capire il bilanciamento fra le due cose. La Nazionale non deve avere più valore di quello che ha. Accomuna tutti, mette assieme giocatori che fino a un minuto prima si danno battaglia in campo e si aiutano, ma bisogna prenderla per quello che è, altrimenti si finalizzerebbe la pallacanestro ad un movimento per Nazionali. Non sono una settimana a novembre o tre giorni ad aprile a cambiare il feeling fra gli atleti, e se questi periodi devono stravolgere tutto il movimento del basket non credo sia una buona idea.
Quanto Caserta ha influito nel basket del sud Italia?
L’esempio ha avuto sicuramente un valore, quando vinci qualcosa quando non vieni da un passato come quello di Milano o Varese ha un sapore diverso. Ma credo che nel basket italiano non c’è particolare replicabilità dei modelli. Ad esempio ora la squadra guida è Milano ma non si può replicare Armani. In precedenza i modelli da seguire erano Siena, Treviso, Bologna, ma non possono essere ripetuti così su due piedi. Così come Caserta, se non avesse vinto quella quinta partita nel ’91 la sostanza non sarebbe cambiata. La Juve ha prodotto dieci anni di grandissima pallacanestro e altri sei-sette ad un livello minore, ora è risalita ma se si continua in maniera altalenante si fa fatica a costruire qualcosa di duraturo negli anni.