Una stagione sull'ottovolante. Il sogno sfiorato di Reggio Emilia
Prologo ed epilogo di una stagione che in ogni caso rimarrà nella storia biancorossa
Il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno
Stagione 2014/2015. La Pallacanestro Reggiana raggiunge il punto più alto della propria storia, conquistando una finale scudetto e arrendendosi solo all’ultima gara, persa per due punti. Per rispondere alla consueta domanda sul bicchiere, che divide da sempre gli ottimisti dai pessimisti, bisogna scindere due aspetti.
Dal punto di vista sportivo, il bicchiere non è mezzo vuoto, è vuoto del tutto. Bando alla retorica e alle frasi fatte su vittorie dello spirito, la finale è stata persa e, per quanto ne sappiamo, fra arrivare secondi o arrivare primi c’è una bella differenza.
Ma se invece osserviamo la passione e l’interesse che sono nati attorno a questa squadra da parte della gente, il bicchiere non solo è pieno, straborda.
La società ha davanti a sé un capitale enorme da fare fruttare: le persone che hanno fatto sold out al Bigi per tutta la stagione, quelle che hanno riempito le piazze con i megaschermi, una città impazzita per il basket, gli sponsor che iniziano a capire che nel basket reggiano c’è lo spazio per un ottimo investimento.
Abbiamo perso il conto delle persone che hanno detto che l’anno prossimo faranno l’abbonamento per la prima volta (non sapendo che sarà molto complicato), solo perchè hanno visto una partita e si sono appassionati, oppure perchè in ufficio si parla solo di blocchi, difese a zona e di quanto la Lituania sia il paese più bello del mondo.
La prima pietra non è stata gettata certo oggi, ma davvero si può affermare che è iniziata una nuova era per il basket reggiano. Ora bisogna iniziare a cogliere quanto seminato, anche se questo dipende anche dal Sindaco Vecchi, che deve fare decollare la questione Palasport.
Il pilota di bob: Max Menetti
Il pilota di un bob a quattro sul ghiaccio, quello dei giamaicani del film cool runnings per intenderci, non è un pilota nel senso stretto del termine. Un pilota tradizionale, guarda e agisce, accelerando, frenando e muovendo lo sterzo. Il pilota di bob invece non agisce in maniera diretta, ma reagisce alle situazioni esterne.
Nel bob la pista è in discesa e dà velocità al mezzo. Le curve sono paraboliche e contengono la forza centrifuga. Gli altri componenti del team, muovendosi, fanno muovere il bob, influenzandone la traiettoria.
Bene. Dopo tutto questo, entra in gioco il pilota, che reagisce, corregge. La curva ha mandato il bob troppo a destra? Allora corregge a sinistra. I compagni si sono spostati troppo? Correzione. Il ghiaccio fa scivolare troppo il mezzo? Correzione.
Non credo che Max Menetti sia mai stato un pilota di bob a quattro, però scommetto sarebbe un talento naturale. La sua pallacanestro Reggiana ha vissuto una stagione in cui è stata continuamente sballotata fra le curve paraboliche: infortuni a raffica, la pesante sconfitta di Milano (con Kleiza nella sua unica partita in cui sembrava un guerriero spartano alle termopili), una Eurocup con solo due vittorie e una Coppa Italia dove l’obiettivo di arrivare in finale è stato mancato.
Nonostate tutti questi scossoni e una squadra a geometria variabile (i gettoni di Taylor e K.Lavrinovic, oltre ad infortuni assortiti alle stelle della squadra che cambiavano continuamente le gerarchie), Menetti è stato bravo a a tenere la barra dritta, a non esaltarsi dopo le vittorie e non deprimersi dopo le sconfitte. Come un pilota di bob. Ogni volta che la direzione non gli sembrava quella corretta, metteva mano ai comandi e aggiustava la traiettoria.
Ad esempio ha dato dimostrazione di grande autocontrollo a presentarsi in sala stampa dopo che Brindisi aveva pareggiato la serie vincendo a Reggio e con toni pacati spiegare che niente era compromesso, quando invece il tifoso medio voleva gettare il bambino con l’acqua sporca.
Stessa pacatezza e coscienza che sarà il tempo a parlare, anche nella gestione dei giocatori. Quando Cervi era a rischio fischi ha invocato un’ovazione dal pubblico al suo ingresso in campo. Quando Silins stava attraversando un periodo difficile lo ha atteso con pazienza, incassando poi cedole e dividendi in semifinale e finale, dove è stato decisivo, fino allo sciagurato ed ennesimo infortunio.
Azione e reazione. Ogni manovra è in funzione di un evento specifico. È cosí anche per la manovra di cui il pilota è più fiero di tutte, che è quella che si compie quando il bob va nella giusta direzione e alla giusta velocità: non fare assolutamente niente, lasciando scivolare il mezzo verso il traguardo. Chi vuole controllare tutto a volte fa piú danni che a non fare niente.
La storia siamo noi
Il 7 ottobre al Teatro Valli, Pallacanestro Reggiana festeggia il suo quarantesimo compleanno. Partecipano alla serata tutte le vecchie glorie biancorosse, oltre ai giocatori del roster attuale.
Solo chi ha organizzato eventi simili può immaginare la cifra spesa per una serata del genere. Affitto del teatro, tenso-struttura in grande stile, buffet, maschere, tecnici. Giusto per capirci, con la cifra spesa, alcune squadre di serie A ci pagano l’ingaggio stagionale di due rookie americani.
Vi chiederete cosa c’entra quella festa con la stagione appena conclusa. C’entra eccome. Perché anche se qualche atleta avrebbe dovuto avere un interprete italiano-lituano per capire qualche parola, o se alcuni sul palco hanno riconosciuto giusto Dan Peterson o Basile, sicuramente per tutti è stata una serata che ha lasciato un segno. Anche l’ultimo arrivato, anche chi non conosceva Pallacanestro Reggiana fino a qualche mese prima, ha capito di fare parte di qualcosa che va oltre una semplice squadra di basket. Hanno visto le immagini del passato, hanno sentito la commozione di chi parlava e di chi ascoltava, hanno capito che c’è gente che ha preso aerei intercontinentali per esserci. Alcuni hanno attraversato l’Italia, altri hanno fatto una doccia al volo dopo l’allenamento e poi due ore di macchina fra una partita e l’altra di Eurolega.
Hanno anche visto, quando si sono andati a posizionare dietro ad Andrea Menozzi tutti i giovani da lui formati nelle giovanili, che questa è una società a cui piace costruire le cose da lontano, non è una finanziaria che ogni anno smercia giocatori come fossero pacchetti azionari.
Quando Darius Lavrinovic ha deciso di rimanere, accettando di operarsi, tagliandosi lo stipendio ai livelli di un bancario qualsiasi (con tutto il rispetto per i bancari e quindi di chi scrive), siamo sicuri che non l’avrebbe fatto in tutte le società. E quella serata, insieme ad altro, ha avuto un peso, conscio od inconscio.
C’è anche un precedente, anche se in un altro sport. Quattro anni fa la Juventus arrivava da due settimi posti e partiva in quarta fila per la conquista del titolo. La stagione iniziò con la presentazione in stile inaugurazione olimpionica del nuovo stadio, con uno spettacolo incredibile su tutta la storia bianconera, con in prima fila la squadra che nove mesi dopo avrebbe strappato il tricolore al Milan di Ibrahimovic e Thiago Silva. Sono stati gli stessi giocatori che dissero che in quella serata era iniziato tutto, a partire dalla consapevolezza che anche loro facevano parte di quella storia che avevano visto narrare.
Quando si parla di una società sportiva, la prima cosa che viene in mente sono i protagonisti che vanno in campo, prima di staff, dirigenti o proprietà. Ancora, quando si parla di vittorie o sconfitte, si pensa ad un tiro entrato o uscito, oppure ad una giocata o un momento decisivo.
Sono entrambi pensieri legittimi. Ma la verità, anche se fredda e poco passionale, è che le vittorie si concretizzano sul campo e negli attimi finali, ma nascono molto prima dalla programmazione, dalle scelte manageriali e imprenditoriali, dal lavoro fatto negli anni precedenti nel formare come ha fatto Reggio, giovani atleti, giovani allenatori e giovani dirigenti.