Quanto giocano gli italiani. Stiamo assistendo ad un'evoluzione della specie?
I minuti giocati dagli italiani sono sempre pochi, ma i giovani sembrano di un'altra pasta
(Foto: Agenzia Ciamillo & Castoria)
Petrucci ne ha fatto una guerra di religione. In qualunque circostanza, che sia la presentazione del campionato, l’anniversario di qualche società, o anche una semplice intervista, il presidente della FIP parte con la sua litania, anche senza una domanda diretta dell’intervistatore, sul fatto che devono giocare più italiani.
Ma davvero in Italia ne giocano pochi? E in generale, i giovani giocano? Davvero siamo in un paese per vecchi? C’è chi dice che nel basket il “giovane italiano” sta sparendo e di conseguenza la nazionale italiana ne sta risente e ne risentirà in futuro.
Vediamo innanzitutto quanti minuti i giocatori italiani hanno giocato in serie A negli anni, in rapporto al totale minuti disponibili. Fermiamoci alla stagione 2013/2014, per avere un campionato completo.
L’anno di minimo è stato il 2006 dove c’era un solo italiano in campo in ogni minuto di basket giocato, gli altri 4 giocatori erano comunitari o extra. Oggi le cose vanno un po’ meglio, ma i due italiani di media (40%), sono un miraggio.
Guardando l’età media pesata per i minuti effettivamente giocati, si vedono aspetti interessanti, che mirano a capire se in Serie A si dia preferenza ai giocatori piú esperti, al di là della nazionalità.
Il 2011 si è toccato il picco con quasi 28 anni di media, mentre ora le cose stanno migliorando, con giocatori un po’ più giovani.
Per rendere più competitivo il basket di casa nostra, l'unica regola positiva per il movimento dovrebbe riguardare i soldi da investire sul settore giovanile, cioè costringere i club impiegare i soldi per la costruzione del proprio futuro, ma lasciarli poi completamente liberi di far giocare chi merita, cioè i più forti. Questo perchè qualsiasi regola o incentivo che premi l’impiego di atleti italiani porta con sé lo spiacevole effetto collaterale che il prezzo di questi atleti si alzerà inevitabilmente, con la conseguenza che i club di casa nostra vedranno ridursi la loro competitività in Europa, dove i club giocano con altre regole. Non è un caso che proprio la squadra che presta più giocatori alla nazionale italiana di basket, Pallacanestro Reggiana, si batta per limitare al massimo vincoli e barriere.
(Foto: Agenzia Ciamillo & Castoria)
Ma tutti questi stranieri in serie A, stanno davvero indebolendo il basket giocato dai nostri giovani connazionali? Se è vero che la razza del “giovane italiano che gioca a basket" si sta estinguendo, c’è però un aspetto da prendere in considerazione. Una teoria che dato l’argomento, potremmo definire una "teoria darwiniana".
Forse la folta concorrenza, o il doversi misurare anche con giocatori di un livello più alto, quantomeno dal punto di vista atletico, ha portato il “giovane italiano” ad una evoluzione della specie. Cito tre esempi di questo nuovo incrocio genetico: Della Valle, Mussini, Fontecchio. Voglio dire, un tempo, quando gli americani erano uno o due per squadra, al giovane italiano si lasciavano comunque le briciole ed erano già fortunati di rimanere ad imparare dagli italiani più anziani.
(Foto: Agenzia Ciamillo & Castoria)
Ma questa nuova specie è molto peggio della precedente, più subdola e difficile da debellare e controllare. Entrano senza chiedere il permesso. Quando hanno la palla in mano tirano. Si permettono, senza che nessuno gliel’abbia chiesto, di prendersi anche tiri decisivi. A volte osano perfino segnarli allo scadere, manco fossero dei Larry Bird. Altre volte fanno 30 punti, magari in Eurocup, quando invece gli era stato espressamente detto che in Serie A dovevano portare solo le borracce, mentre in Europa dovevano starsene a casa. Insomma questa nuova specie è molto più resistente, non basta più iniziare a dirgli che sono al massimo da LegaDue per farli desistere.
E pensare che, noi che odiamo la razza dei “giovani italiani”, li abbiamo rapiti dai loro letti dove erano tenuti al caldo sotto cento coperte fatte di regole per tutelarli. Li abbiamo presi e buttati in acqua per farli affogare una volta per tutte. Beh, non ci crederete. È successo che hanno imparato a nuotare.