Amedeo Della Valle: da Alba a Reggio Emilia passando per l'America
Chiacchierata con il giovane della Pallacanestro Reggiana che ha impressionato in questa stagione
(Foto: Agenzia Ciamillo & Castoria)
Quando Marco Belinelli, subito dopo la vittoriosa finale NBA dei suoi Spurs, viene intervistato con il tricolore sulle spalle, il suo primo pensiero va alla manciata di persone che hanno creduto in lui, contrapposte alla catasta di quelli che non ci credevano. Averle bene in mente, la manciata e la catasta, è una costante per questo tipo di giocatori: competitivi, agonisti, non accettano mai un no come risposta. E la catasta forse viene anche prima della manciata, perchè quelli che non credono in te stimolano qualcosa, il sacro fuoco di ogni vincente, più forte di qualsiasi sostanza lecita o illecita: la motivazione.
Amedeo Della Valle, da Alba a Reggio Emilia passando per gli Stati Uniti, è stato fatto con lo stesso stampo. Gli piace da matti competere, cerca sempre sfide difficili, ha grande fiducia in sé stesso, ma anche consapevolezza dei propri limiti. E dove non li comprende lui, accanto ha persone che glieli mostrano e lo fanno lavorare per limarli.
Chi aveva dei dubbi su questo ragazzo ha dovuto rapidamente tornare sui suoi passi, perché all’esordio, in campionato e in Eurocup, non ha pagato il minimo impaccio o timore (i suoi massimi sono 32 punti in campionato e 30 in Eurocup). Solitamente gli piace entrare dalla panchina, per dare una scossa alla partita, facendosi sentire sui due lati del campo. Già, perché se in attacco Amedeo non ha problemi a vedere il canestro anche con un repertorio piuttosto ampio per un ragazzo della sua età, in difesa riesce quasi sempre a mettere sul campo grande intensità: sempre sulle linee di passaggio, mai fermo immobile, un avversario molto fastidioso da incontrare.
Insomma, il consiglio è di non scommettere contro di lui. E se lo fate non diteglielo, non fareste che motivarlo ancora di più e potreste avere brutte sorprese.
Amedeo, quando sei arrivato l’anno scorso, hai vissuto un periodo in cui non giocavi che ti è servito anche per ambientarti, ora però le cose vanno oltre le più rosee aspettative. Un tuo ricordo di quel periodo e come hai fatto ad avere un impatto con i professionisti cosí positivo.
Quando sono tornato in Italia, devo ammettere che non è stato facile: all’inizio non giocavo, anche perché avevo male al ginocchio, in allenamento facevo fatica, poi io non mi ero ancora ambientato e integrato. Ci sono stati tanti dubbi su di me, un po’ dall’ambiente in generale. Se ci sono state delle persone che hanno sempre creduto in me sono state: Pallacanestro Reggiana, Marco Crespi, Simone Pianigiani e mio padre.
Poi sono stato convocato in nazionale e quella è stata la svolta. Fare quei tornei, con quei due mesi di lavoro, giocare contro giocatori di un livello altissimo, sono state cose fondamentali per me. La nazionale mi ha veramente facilitato, perché è stata una scintilla che mi ha dato grande motivazione.
E così, quando sono tornato, dai primi allenamenti con i miei compagni di Reggio mi sono subito sentito pronto, sentivo che avrei potuto competere. E questo mi ha dato grande fiducia.
Per me tu sei sempre stato “il ragazzo delle scelte difficili”. Prima hai scelto di andare all’high school in un posto dove non eri nemmeno sicuro di poter giocare a basket, poi quando è stato il momento di scegliere il college, hai tralasciato alcune università con un gioco più adatto a te per scegliere Ohio State, dove sapevi che sarebbe stato più difficile. Infine, quando tutti pensavano che avresti fatto 4 anni al college, dove immaginiamo non si stia malissimo, molli tutto e torni in Italia. Queste scelte difficili, questa voglia di grandi sfide, a volte la vedo anche in campo nel tuo modo di giocare…
Le scelte difficili sono quelle più motivanti. E sono anche quelle che ti fanno migliorare. Io tornassi indietro rifarei la scelta di Ohio State, perchè ero convinto che era la scelta giusta e nella mia testa avrei dovuto giocare molto di più. In ogni caso, anche se non è andata cosí, questa esperienza mi ha davvero dato tantissimo, perchè mi ha dato durezza: in America ti insegnano a non mollare, ad essere costante giorno dopo giorno, ti insegnano a lottare. E questo mi ha dato cattiveria, motivazione, che ora sono le cose che cerco di mettere sul campo.
Quando sei passato dal high-school al college, uno degli interrogativi sul tuo gioco era se saresti stato in grado di tenere difensivamente. Quando sei arrivato in Italia, anche qui ci si domandava se impiegato da 2 o da 3 saresti stato in grado di reggere difensivamente contro i professionisti. Invece non solo si scopre che reggi, ma sei uno dei difensori più fastidiosi e intensi. Come hai fatto a migliorare cosí tanto?
È stato un processo di crescita fatto durante le estati, perchè io sono sempre stato molto lento di piedi e quindi ho fatto molto lavoro atletico con Stefano Dacastello (ex salto in lungo). Da subito, dalle elementari, dato che mio padre aveva individuato questo difetto, ho iniziato con l’atletica per correggere questo problema. Poi in America ho lavorato molto sull’aspetto fisico e mi sento più solido, anche se mi manca ancora qualche chilo per darmi quella costanza proprio in quello che dici tu: a tratti riesco ad essere aggressivo e fastidioso però non riesco a farlo per tutta la partita. In ogni caso la difesa mi da grande soddisfazione. Voglio marcare sempre il più forte degli altri, perché quello che riesco a fare in difesa poi mi mette in partita in attacco.
(Foto: Agenzia Ciamillo & Castoria)
Rimaniamo sugli USA. C’è molta curiosità sul metodo di lavoro che si adotta al di là dell’oceano. Per alcuni si può metter su massa muscolare solo in America. Altri, non da ultimo il ‘reggiano’ Kobe Bryant, dicono che la scuola europea è l’unica che ti insegna i fondamentali e la tecnica. Raccontaci come lavora un ragazzo americano che gioca a basket al college.
La principale differenza è l’estate. L’estate americana ti da proprio una base a livello fisico che poi ti porti dietro, perchè non puoi fare nessun allenamento di squadra, pochi individuali e quindi fai tanta palestra, pesi, corsa…. ti distruggi. Poi di solito sei in gruppetti di tre o quattro e si stimola una competizione positiva che ti spinge sempre più in alto. Poi invece quando inizia la stagione, soprattutto in una conference impegnativa coma la Big Ten, ci si allena meno. La mattina si va a scuola, poi un’ora di allenamento intenso, ma non di più perché poi fra partite, viaggi e il tempo che devi trovare per studiare, non riesci a fare molto.
Il tuo amico Federico Mussini quest’estate dovrà compiere una scelta importante e decidere se rimanere a Reggio o andare al college. Ovviamente tu lo consiglierai anche per quella che è stata la tua esperienza, ma la tua e la sua decisione non sono paragonabili…
Si, la scelta di Federico è completamente diversa dalla mia. Io ero a Casale Monferrato, non giocavo in Legadue, se non fossi andato in America forse sarei ancora in Legadue, senza aver fatto passi avanti. Federico invece gioca venti minuti in serie A, non sono proprio paragonabili come situazioni.
In ogni caso, quello che gli consiglio è sicuramente di fare le visite ai college, perchè ti da l’opportunità di conoscere una cultura diversa, di vedere cosa c’è di là, oltre ad essere molto divertenti. Poi, detto sinceramente, la scelta verrà da sola.
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