MarShon Brooks: 'Eccitato di essere arrivato a Milano'
Le parole della nuova guardia dell'Olimpia
MILANO - “Tre-quattro mesi fa cercavo di capire dove sarebbe stato il mio futuro nella NBA. Guardavo a diverse squadre, a quale fosse la più interessata, ma non pensavo che sarei venuto in Europa. Invece eccomi a Milano e sono davvero eccitato”.
STILE DI GIOCO - “Sono un giocatore talentuoso, posso segnare abbastanza facilmente, sono un attaccante ma devo anche lavorare ogni giorno sulla forza, vorrei essere più forte fisicamente e lavoro ogni giorno per migliorare la difesa”.
LA FAMIGLIA – “Sì, siamo una famiglia di cestisti o dovrei dire di cestiste perché giocavano mia nonna, mia madre e mia zia. Sì, ho cominciato a giocare a 4-5 anni, ho amato questo sport dal primo momento e non l’ho mai trascurato”.
IL PASSATO NBA - “Ho giocato sia nei Boston Celtics che nei Los Angeles Lakers, due franchigie storiche. Se guardi ai successi, sono le due franchigie con più tradizione di tutta la NBA. Giocare lì è stato grande, i tifosi sono dappertutto e gli occhi sono sempre puntato su di te”.
MIKE D’ANTONI - “E’ stato il mio allenatore ai Lakers. E’ un guru dell’attacco, gli piace che la squadra corra avanti e indietro, crede nel contropiede. Ma soprattutto è una persona affabile con la quale è facile dialogare. Giocare per lui nei Lakers è stata una meravigliosa esperienza”.
LA CRESCITA COME GIOCATORE - “E’ stata letterale: al penultimo, ultimo anno di high school sono passato da 1.78 a 1.94 di statura quasi all’improvviso. Prima facevo i lay-up e dopo schiacciavo. Poi la crescita è proseguita a Providence, anno dopo anno sempre un passo in avanti fino ad arrivare dove sono arrivato”.
I 52 PUNTI SEGNATI CONTRO NOTRE DAME – “Fu una grande serata. All’inizio addirittura ho faticato, poi ho avuto un paio di buoni tiri, ho segnato qualche tiro libero e tutto ad un tratto il canestro è sembrato diventare sempre più grande. In un time-out, a circa 10 minuti dalla fine, il coach mi ha detto di prendere la squadra in mano, di fare qualcosa. Eravamo sotto di 15. Da quel momento mi sono scatenato. Ho provato sensazioni indescrivibili”.
I PARAGONI CON KOBE BRYANT – “Non è che mi dessero fastidio ma li ho sempre considerati inappropriati, il primo passo per fallire. Kobe Bryant è stato il mio idolo, crescendo, un giocatore che ha avuto un successo incredibile, cinque titoli NBA, capocannoniere, Mvp. Paragonarmi a lui è sempre stato fuori luogo”.
IL NUMERO 2 - “Il mio numero era l’11, era un numero speciale per me, mi aveva portato fino a Providence. L’ho chiesto a Geoff McDermott, che era un junior, ma mi ha risposto “No Way” e così ho fatto 1+1=2. Il 2 mi ha portato nella NBA e da allora è il mio numero”.