Messina e l'addio all'Italia: Stanco di un posto in cui vincere ti rende nemico pubblico
Le parole del coach del CSKA Mosca a Famiglia Cristiana sulla sua partenza dall'Italia nel 2005, le sue esperienze all'estero ed in NBA
Ettore Messina, coach del CSKA Mosca, ha parlato a Famigli Cristiana.
Ecco le parole del coach siciliano che si giocherà l’ennesima Final Four di Euroleague con la corazzata russa.
Sport. E’ lo specchio della società. L'aggressività, la superficialità, l'egoismo che si vedono nell'aula del nostro Parlamento non sono gli stessi che vediamo sui campi di pallacanestro? Gli esempi sono questi. Ci mancano una leadership responsabile e l'autodisciplina: io ho avuto maestri, scuola, famiglia, amici, università. Adesso ci si chiude con le cuffiette, vedo crescere una forma di individualismo difficile da rompere.
Straniero sui campi italiani. Non ne potevo più di un posto in cui vincere ti rende nemico pubblico: in trasferta una valanga di insulti a me, a mia mamma, a mia moglie. Lo trovavo incivile. Ora se torno raccolgo stima, ma è solo perché son fuori.
All’estero dal 2005. Abbiamo potuto cogliere tutto come un'opportunità: siamo arrivati a Mosca che Filippo aveva sei mesi, fino all'età dell'asilo ce lo siamo goduto come una famiglia normale non potrebbe. Ci siamo dati con mia moglie ancora qualche anno di vita brada, ci stabilizzeremo quando nostro figlio, che ora ha quasi dieci anni, andrà alle medie.
Casa dal 2005. Bologna, perché là ci sono mia madre, i cognati, i cugini. E il luogo in cui al momento vivo: sarà ridicolo ma quando ci spostiamo ricompriamo sempre gli stessi mobili economici per ricreare la "nostra" casa dappertutto.
Ritorno in Russia dopo parentesi NBA. Perché non è facile riconvertirsi a fare l'assistente a cinquant'anni. Per un posto da capo allenatore sarei rimasto.
Esperienza al Real Madrid. Quando vincevo ero Ettore Messina, quando perdevo diventavo "l'italiano", c'era una sottile forma di disprezzo. Qui a Mosca c'è affetto per l'italiano medio.
Capito sul campo che... I campioni e i problemi sono uguali ovunque. Ma le ultime generazioni faticano di più a capire che serve sacrificio per essere all'altezza delle proprie attese. Problema nostro: tocca a noi entrare nella loro testa e aiutarli.
Tecnico esigente. Nel comodino ho una pergamenina, regalo del mio babbo, con la poesia If di Kipling: "Se saprai trattare la vittoria e la sconfitta nella stessa maniera..." Ci si prova, anche se perdendo ci si arrabbia abbastanza. E io sono diventato meno tollerante agli errori.
Voglia di scappare. Ho perso un fratello e una sorella (più piccoli ndr) tra il 2008 e il 2011. In quei momenti ti dà fastidio vedere la quotidianità affrontata con sufficienza mentre tu vorresti tutti impegnati al 101 % perché hai avuto la fortuna di svegliarti e fare ciò che ti piace. Avevo reazioni sbagliate. Razionalmente capivo che lo erano ma emotivamente non riuscivo a dominarle per quello che c'era nella mia testa. Per la stessa ragione, ora, anche se vorrei, non so rispondere a chi mi chiede di futuro: non so guardare più in là di domattina.”
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