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Altre leghe 01/05/2016, 16.48

Come comunicare nel minibasket

A cura del Prof. Maurizio Mondoni

Altre leghe
Secondo R. A. Hinde la comunicazione è “l’emissione da parte di un organismo di un segnale che influenza il comportamento di un altro organismo”.

Nell’atto della comunicazione un organismo aziona uno strumento verbale o di altro tipo, al fine di imprimere in un altro organismo la rappresentazione di fatti, capacità o priorità.

L’azione che il mittente svolge a tal fine è generalmente chiamata “comunicazione” o “invio di un messaggio” oppure “generazione di un segnale.

Nell’ambito del processo comunicativo si distingue:

lo scopo che il mittente si propone nell’azionare lo strumento comunicativo;
il significato intenzionale;
il significato come è inteso in modo convenzionale.
Ogni essere vivente è in grado di comunicare.

L’uomo per la sua capacità di modulare suoni e voce attraverso le corde vocali, ha costruito nel corso della sua evoluzione storica, un sistema di comunicazione di grandissima efficacia. Il linguaggio umano si distingue in:

verbale;
non verbale.
Il linguaggio verbale è costituito da suoni articolati con segnali vocali che sono caratterizzati da:

semanticità: il linguaggio è dotato di significato che si basa sui legami associativi tra gli elementi del segnale e del mondo esterno;
arbitrarietà: la relazione tra un elemento dotato di significato in una lingua e la sua detonazione è indipendente da qualsiasi somiglianza fisica tra i due.

Indipendente da qualsiasi somiglianza fisica tra i due;
apertura: la possibilità di coniare messaggi nuovi;
readizione: la possibilità di trasmettere le convenzioni mediante l’insegnamento da un gruppo all’altro e da na generazione all’altra;
dualità di strutturazione: la possibilità che consente a elementi privi di significato di combinarsi strutturalmente tra loro, assumendo un significato;
prevaricazione: la capacità di mentire (presente solo nel linguaggio umano);
riflessività: capacità di comunicare circa il sistema stesso di comunicazione;
apprendibilità: la capacità da parte di un parlante una lingua di apprenderne un’altra.
Comunicare attraverso il linguaggio simbolico è prerogativa esclusiva della specie umana; è la realizzazione più caratteristica e più complessa dell’uomo.

Ogni società umana ha un suo linguaggio. Il linguaggio consente di comunicare una quantità e varietà infinite di messaggi, significati, intenzioni, pensieri, richieste e informazioni.

Il linguaggio rende cumulative le esperienze di vita da individuo a individuo.

La comunicazione con i bambini
I significati che i bambini attribuiscono inizialmente alle parole sono spesso diversi da quelli che gli adulti assegnano alle medesime parole. I bambini nell’età della Scuola Primaria compiono enormi progressi tanto nella comprensione delle parole quanto nella produzione del linguaggio (sintassi e semantica). Dai 6 agli 11 anni il loro vocabolario si arricchisce rapidamente, la qualità del linguaggio parlato migliora, la sintassi diventa più completa ed è utilizzata anche una maggiore varietà di strutture sintattiche e i significati assegnati alle parole si avvicinano maggiormente a quelli degli adulti.

La comunicazione verbale e non verbale

La comunicazione umana ha come canale fondamentale quello verbale, la cui varietà e ricchezza è indiscutibile, ma non costituisce l’unico modo di comunicare.

Esiste infatti una comunicazione non verbale costituita da un intricato complesso di segnali non verbali, vocali e gestuali che incidono nel significato, nell’enfasi e su altri aspetti dell’atto linguistico.

Il “parlato” è accompagnato spesso da segnali non verbali determinanti ai fini dell’indicazione del messaggio e sono:

i segnali prosodici (altezza del suono, pause, durata);
i segnali paralinguistici (tono di voce, accento, qualità della voce, errori).
Mutando questi segnali, la stessa parola può assumere significati completamente diversi.

Il nostro corpo comunica essenzialmente con:

i cenni del capo: segali numerosi e di rapida comprensione;
le espressioni del volto: sono circa 20 mila le espressioni facciali secondo Birdwhstil, ma solo una sessantina, unite ai cenni del capo, sono convenzionalmente riconoscibili. Il volto è un’area di comunicazione specializzata, molte espressioni sono universali e indipendenti da qualsiasi tipo di apprendimento. Alcune espressioni emozionali possono essere controllate, ma non tutte, per cui svolgono una funzione comunicativa indipendente dalla volontà dell’individuo;
le mani: possono comunicare molte cose, accompagnano e rafforzano il “parlato” e a volte lo sostituiscono nel linguaggio gestuale;
lo sguardo: accompagna e rafforza il “parlato”, svolge un ruolo molto importante negli atteggiamenti interpersonali e nell’instaurare relazioni; è quasi sempre in sintonia con le espressioni facciali.
Il valore comunicativo non verbale è espresso anche da altri comportamenti umani. La “prossemica” è importante per comprendere il nostro atteggiamento affettivo con l’altro, ma serve anche a comprendere l’ambiente culturale che ci appartiene.

Le numerose forma di contatto fisico (la stretta di mano, la carezza, l’abbraccio, lo spintone, l’urto) sono indubbiamente indicatori di stati d’animo, di legami affettivi o parentali, ma anche di consuetudini sociali e culturali.

Lo stesso orientamento reciproco è rilevatore del tipo di rapporto che s’instaura tra due persone, la sistemazione faccia a faccia o fianco a fianco, sono rivelatori del tipo di incontro e delle relazioni che si instaurano tra due persone.

Comunichiamo con i nostri simili anche attraverso l’abbigliamento, la pettinatura, la cura del nostro aspetto e anche questi sono indicatori del nostro ruolo sociale, della considerazione e dell’immagine di noi stessi.

Per avere effetto la comunicazione non verbale deve essere percepita in modo consapevole; è molto importante essere in grado di interpretare lo stato d’animo di chi si ha di fronte, comprenderne la disponibilità o l’ostilità, la superiorità o l’inferiorità, etc.

Dobbiamo sempre tener presente che ogni persona possiede un proprio modo di esprimersi a livello verbale e non verbale, che dipende indubbiamente dalla sua cultura, dalla sua appartenenza sociale, dal suo carattere e dalla sua personalità.

Comprendere a fondo i messaggi che il nostro interlocutore invia significa entrare in sintonia con lui e comprenderlo meglio. Un uso corretto della comunicazione verbale e non verbale è indispensabile in un rapporto educativo adulto-bambino nell’ambito familiare, scolastico, motorio e sportivo.

Il gioco
La psicologia ha per lungo tempo misconosciuto il gioco del bambino. Senza dubbio i pedagogisti del passato da Rabelais a Rousseau, passando per Montaigne e Roeke hanno segnalato l’importanza del gioco nei bambini, senza però farne oggetto di studio.

Groos, dopo aver compiuto degli studi sugli animali (volume “Giochi degli animali – 1896) si dedicò anche all’osservazione del gioco umano, conformandosi però agli schemi descritti per gli animali.

Anche Claparede seguì questa tendenza e pose l’accento sul gioco come risposta a tendenze e bisogni, cioè l’attività ludica fu considerata come espressione di tendenze diverse, di bisogni molteplici, ciascuno dei quali si esplicava in una sorta di gioco.

Il gioco dei bambini assomiglia molto all’inizio a quello dei cuccioli di animali, cioè attraverso le attività ludiche si esplora il mondo (giochi di linguaggio, giochi di movimento, etc.).

Il gioco diventa progressivamente indispensabile per lo sviluppo del pensiero e della crescita fisica; attraverso il gioco il bambino acquista la consapevolezza delle funzioni corporee, scopre lo spazio fisico che occupa, esplora delle esperienze fisiche, emotive e intellettuali.

Il gioco è un momento gioioso, non persegue un edonismo fine a se stesso, presuppone invece un fine da perseguire (progetto e regole da rispettare).

Il gioco è un’attività seria, un mezzo di affermazione della personalità, attraverso il gioco il bambino consolida la sicurezza e la fiducia in se stesso.

Il gioco è il miglior elemento di equilibrio psichico, la sua mancanza o la sua insufficienza possono determinare pericolo o carenze caratteriali.

Analizzando il gioco del bambino possiamo individuare tre tipi di gioco:

giochi di imitazione: iniziano attorno ai 2 anni, dapprima il bambino imita se stesso (fa finta di dormire, di cadere, di mangiare) e poi imita gli altri. Il gioco di imitazione è in primo luogo uno sdoppiamento di sé e creazione su altre prospettive di altrettanti io. Fino a 5-6 anni l’immedesimarsi in un altro personaggio porta il bambino a confondere realtà e fantasia, ingenerando confusione. L’identificazione con un modello, il porsi in un altro punto di vista comunque diventa un valido strumento per superare l’egocentrismo. Dopo i 7 anni la distinzione tra io e l’altro diventa più chiara. Il bambino imita e sa imitare e attraverso l’imitazione mette alla prova certe sue capacità quali la fantasia, il brio, la velocità, la voce; giochi a regola arbitraria: sono giochi inventati dal bambino e sono molto bizzarri (camminare all’indietro, seguire il bordo di un marciapiede, saltare le mattonelle). Possono suscitare nell’adulto una strana impressione (che non si ricorda la sua infanzia), ma sono del tutto normali e durano poco tempo. Sono giochi effimeri e dimostrano che i bambini amano la regola che è garanzia di ordine e costituisce una barriera da superare. A volte i bambini inventano le regole del gioco (spontaneità e invenzione) e questo dimostra il rispetto delle regole. Nei giochi tradizionali (nascondino, terra-sole, guardia e ladri, etc.) le regole sono tramandate e sono fprnite dall’adulto. Questi giochi sono frequenti nel periodo in cui il bambino si distacca dalla dipendenza del mondo degli adulti, ma non sente ancora il richiamo dei ragazzi più grandi. E’ questo una specie di interludio laico tra due diverse religioni: gli dei della prima infanzia si allontanano e quelli della terra non hanno ancora il loro culto; giochi ascetici o di volontà: ogni gioco è una prova di volontà e questa situazione si manifesta soprattutto nei giochi ascetici. Sono molto simili ai giochi a regola arbitraria (fissare il sole, non ridere apposta, non parlare, etc.). In questi giochi il bambino impegna se stesso e il proprio onore, la riuscita è una prova di valore e una realizzazione di sé. 

COME COMUNICARE NEL MINIBASKET
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LA COMUNICAZIONE NEL MINIBASKET

Premessa
Secondo R. A. Hinde la comunicazione è “l’emissione da parte di un organismo di un segnale che influenza il comportamento di un altro organismo”.

Nell’atto della comunicazione un organismo aziona uno strumento verbale o di altro tipo, al fine di imprimere in un altro organismo la rappresentazione di fatti, capacità o priorità.

L’azione che il mittente svolge a tal fine è generalmente chiamata “comunicazione” o “invio di un messaggio” oppure “generazione di un segnale.

Nell’ambito del processo comunicativo si distingue:

lo scopo che il mittente si propone nell’azionare lo strumento comunicativo;
il significato intenzionale;
il significato come è inteso in modo convenzionale.
Ogni essere vivente è in grado di comunicare.

L’uomo per la sua capacità di modulare suoni e voce attraverso le corde vocali, ha costruito nel corso della sua evoluzione storica, un sistema di comunicazione di grandissima efficacia. Il linguaggio umano si distingue in:

verbale;
non verbale.
Il linguaggio verbale è costituito da suoni articolati con segnali vocali che sono caratterizzati da:

semanticità: il linguaggio è dotato di significato che si basa sui legami associativi tra gli elementi del segnale e del mondo esterno;
arbitrarietà: la relazione tra un elemento dotato di significato in una lingua e la sua detonazione è indipendente da qualsiasi somiglianza fisica tra i due;
apertura: la possibilità di coniare messaggi nuovi;
readizione: la possibilità di trasmettere le convenzioni mediante l’insegnamento da un gruppo all’altro e da na generazione all’altra;
dualità di strutturazione: la possibilità che consente a elementi privi di significato di combinarsi strutturalmente tra loro, assumendo un significato;
prevaricazione: la capacità di mentire (presente solo nel linguaggio umano);
riflessività: capacità di comunicare circa il sistema stesso di comunicazione;
apprendibilità: la capacità da parte di un parlante una lingua di apprenderne un’altra.
Comunicare attraverso il linguaggio simbolico è prerogativa esclusiva della specie umana; è la realizzazione più caratteristica e più complessa dell’uomo.

Ogni società umana ha un suo linguaggio. Il linguaggio consente di comunicare una quantità e varietà infinite di messaggi, significati, intenzioni, pensieri, richieste e informazioni.

Il linguaggio rende cumulative le esperienze di vita da individuo a individuo.

La comunicazione con i bambini
I significati che i bambini attribuiscono inizialmente alle parole sono spesso diversi da quelli che gli adulti assegnano alle medesime parole. I bambini nell’età della Scuola Primaria compiono enormi progressi tanto nella comprensione delle parole quanto nella produzione del linguaggio (sintassi e semantica). Dai 6 agli 11 anni il loro vocabolario si arricchisce rapidamente, la qualità del linguaggio parlato migliora, la sintassi diventa più completa ed è utilizzata anche una maggiore varietà di strutture sintattiche e i significati assegnati alle parole si avvicinano maggiormente a quelli degli adulti.

La comunicazione verbale e non verbale

La comunicazione umana ha come canale fondamentale quello verbale, la cui varietà e ricchezza è indiscutibile, ma non costituisce l’unico modo di comunicare.

Esiste infatti una comunicazione non verbale costituita da un intricato complesso di segnali non verbali, vocali e gestuali che incidono nel significato, nell’enfasi e su altri aspetti dell’atto linguistico.

Il “parlato” è accompagnato spesso da segnali non verbali determinanti ai fini dell’indicazione del messaggio e sono:

i segnali prosodici (altezza del suono, pause, durata);
i segnali paralinguistici (tono di voce, accento, qualità della voce, errori).
Mutando questi segnali, la stessa parola può assumere significati completamente diversi.

Il nostro corpo comunica essenzialmente con:

i cenni del capo: segali numerosi e di rapida comprensione;
le espressioni del volto: sono circa 20 mila le espressioni facciali secondo Birdwhstil, ma solo una sessantina, unite ai cenni del capo, sono convenzionalmente riconoscibili. Il volto è un’area di comunicazione specializzata, molte espressioni sono universali e indipendenti da qualsiasi tipo di apprendimento. Alcune espressioni emozionali possono essere controllate, ma non tutte, per cui svolgono una funzione comunicativa indipendente dalla volontà dell’individuo;
le mani: possono comunicare molte cose, accompagnano e rafforzano il “parlato” e a volte lo sostituiscono nel linguaggio gestuale;
lo sguardo: accompagna e rafforza il “parlato”, svolge un ruolo molto importante negli atteggiamenti interpersonali e nell’instaurare relazioni; è quasi sempre in sintonia con le espressioni facciali.
Il valore comunicativo non verbale è espresso anche da altri comportamenti umani. La “prossemica” è importante per comprendere il nostro atteggiamento affettivo con l’altro, ma serve anche a comprendere l’ambiente culturale che ci appartiene.

Le numerose forma di contatto fisico (la stretta di mano, la carezza, l’abbraccio, lo spintone, l’urto) sono indubbiamente indicatori di stati d’animo, di legami affettivi o parentali, ma anche di consuetudini sociali e culturali.

Lo stesso orientamento reciproco è rilevatore del tipo di rapporto che s’instaura tra due persone, la sistemazione faccia a faccia o fianco a fianco, sono rivelatori del tipo di incontro e delle relazioni che si instaurano tra due persone.

Comunichiamo con i nostri simili anche attraverso l’abbigliamento, la pettinatura, la cura del nostro aspetto e anche questi sono indicatori del nostro ruolo sociale, della considerazione e dell’immagine di noi stessi.

Per avere effetto la comunicazione non verbale deve essere percepita in modo consapevole; è molto importante essere in grado di interpretare lo stato d’animo di chi si ha di fronte, comprenderne la disponibilità o l’ostilità, la superiorità o l’inferiorità, etc.

Dobbiamo sempre tener presente che ogni persona possiede un proprio modo di esprimersi a livello verbale e non verbale, che dipende indubbiamente dalla sua cultura, dalla sua appartenenza sociale, dal suo carattere e dalla sua personalità.

Comprendere a fondo i messaggi che il nostro interlocutore invia significa entrare in sintonia con lui e comprenderlo meglio. Un uso corretto della comunicazione verbale e non verbale è indispensabile in un rapporto educativo adulto-bambino nell’ambito familiare, scolastico, motorio e sportivo.

Il gioco
La psicologia ha per lungo tempo misconosciuto il gioco del bambino. Senza dubbio i pedagogisti del passato da Rabelais a Rousseau, passando per Montaigne e Roeke hanno segnalato l’importanza del gioco nei bambini, senza però farne oggetto di studio.

Groos, dopo aver compiuto degli studi sugli animali (volume “Giochi degli animali – 1896) si dedicò anche all’osservazione del gioco umano, conformandosi però agli schemi descritti per gli animali.

Anche Claparede seguì questa tendenza e pose l’accento sul gioco come risposta a tendenze e bisogni, cioè l’attività ludica fu considerata come espressione di tendenze diverse, di bisogni molteplici, ciascuno dei quali si esplicava in una sorta di gioco.

Il gioco dei bambini assomiglia molto all’inizio a quello dei cuccioli di animali, cioè attraverso le attività ludiche si esplora il mondo (giochi di linguaggio, giochi di movimento, etc.).

Il gioco diventa progressivamente indispensabile per lo sviluppo del pensiero e della crescita fisica; attraverso il gioco il bambino acquista la consapevolezza delle funzioni corporee, scopre lo spazio fisico che occupa, esplora delle esperienze fisiche, emotive e intellettuali.

Il gioco è un momento gioioso, non persegue un edonismo fine a se stesso, presuppone invece un fine da perseguire (progetto e regole da rispettare).

Il gioco è un’attività seria, un mezzo di affermazione della personalità, attraverso il gioco il bambino consolida la sicurezza e la fiducia in se stesso.

Il gioco è il miglior elemento di equilibrio psichico, la sua mancanza o la sua insufficienza possono determinare pericolo o carenze caratteriali.

Analizzando il gioco del bambino possiamo individuare tre tipi di gioco:



giochi di imitazione: iniziano attorno ai 2 anni, dapprima il bambino imita se stesso (fa finta di dormire, di cadere, di mangiare) e poi imita gli altri. Il gioco di imitazione è in primo luogo uno sdoppiamento di sé e creazione su altre prospettive di altrettanti io. Fino a 5-6 anni l’immedesimarsi in un altro personaggio porta il bambino a confondere realtà e fantasia, ingenerando confusione. L’identificazione con un modello, il porsi in un altro punto di vista comunque diventa un valido strumento per superare l’egocentrismo. Dopo i 7 anni la distinzione tra io e l’altro diventa più chiara. Il bambino imita e sa imitare e attraverso l’imitazione mette alla prova certe sue capacità quali la fantasia, il brio, la velocità, la voce;
giochi a regola arbitraria: sono giochi inventati dal bambino e sono molto bizzarri (camminare all’indietro, seguire il bordo di un marciapiede, saltare le mattonelle). Possono suscitare nell’adulto una strana impressione (che non si ricorda la sua infanzia), ma sono del tutto normali e durano poco tempo. Sono giochi effimeri e dimostrano che i bambini amano la regola che è garanzia di ordine e costituisce una barriera da superare. A volte i bambini inventano le regole del gioco (spontaneità e invenzione) e questo dimostra il rispetto delle regole. Nei giochi tradizionali (nascondino, terra-sole, guardia e ladri, etc.) le regole sono tramandate e sono fprnite dall’adulto. Questi giochi sono frequenti nel periodo in cui il bambino si distacca dalla dipendenza del mondo degli adulti, ma non sente ancora il richiamo dei ragazzi più grandi. E’ questo una specie di interludio laico tra due diverse religioni: gli dei della prima infanzia si allontanano e quelli della terra non hanno ancora il loro culto;
giochi ascetici o di volontà: ogni gioco è una prova di volontà e questa situazione si manifesta soprattutto nei giochi ascetici. Sono molto simili ai giochi a regola arbitraria (fissare il sole, non ridere apposta, non parlare, etc.). In questi giochi il bambino impegna se stesso e il proprio onore, la riuscita è una prova di valore e una realizzazione di sé.


GIOCARE CON GLI ALTRI
Per quanto concerne il gioco con i propri coetanei si possono suddividere le seguenti fasi:

nel periodo della Scuola dell’Infanzia si possono formare gruppi molto effimeri, i bambini riescono a stare insieme per breve tempo;
all’inizio della Scuola Primaria si forma il gruppo segmentale, cioè i bambini della stessa età e dello stesso sesso giocano fianco a fianco, tendono a rivaleggiare in giochi di bravura (correre più veloci, camminare in modo bizzarro, scivolare come sul ghiaccio, ripetere una frase difficile o un ritornello). In alcuni giochi di bravura i bambini vogliono vincere per affermare la loro forza. I bambini giocano sì vicini, ma non insieme, manca ancora il principio della collaborazione perché perdura ancora l’egocentrismo, si rispettano poco le regole dei giochi, scarso è l’autocontrollo. A 7-8 anni i giochi cambiano spesso, poca è la volontà di sottomettersi alle regole. A 9-10 anni i gruppi diventano più solidi, grazie all’educazione della famiglia e della scuola, le regole del gruppo sono più rispettate, nasce la prima società infantile (gerarchia e rispetto del leader). I ruoli sono rigidi, tutti osservano e obbediscono alle leggi.
Il gioco a quest’età ha un forte carattere formalistico e ritualistico, è una prova con schemi rigidi e secondo Alan il gioco è la messa del bambino. Solo verso gli 11-12 anni i ragazzi iniziano a pensare di modificare le leggi del gioco.
Il gioco è prima di tutto un’affermazione di sé, poi diventa affermazione sociale. Nel gruppo il bambino giunge a una attività di gioco di livello superiore e mediante il gruppo acquisisce il controllo di sé e delle sue pulsioni. L’attività di gioco manifesta le forze che agiscono nel bambino, ma queste forze resterebbero vane se l’adulto non sapesse indirizzarle nella direzione migliore. Quando l’adulto viene meno a questo dovere di assicurare e favorire i giochi, il bambino si dimostra incapace di inventare.

I GIOCHISPORT DI SQUADRA

I giochi di squadra rappresentano una forma di attività sociale organizzata a carattere ludico, i cui partecipanti che costituiscono due squadre, si trovano in un rapporto di avversità tipico, non ostile, che è determinato dalla lotta per l’ottenimento della vittoria per mezzo del pallone (o di un altro oggetto di gioco), conformemente a regole preesistenti.

Per lo svolgimento del gioco i componenti delle due squadre eseguono azioni individuali o collettive specifiche (tecnico-tattiche) definite azioni di gioco, in condizione di correlazione o di avversità.

Le azioni individuali consistono in procedimenti tecnici integrati che hanno una struttura specifica e si svolgono sotto la guida di un processo differenziato di pensiero (pensiero tattico), che conferisce ad esse la qualità di essere dinamiche (adattabilità alle situazioni che cambiano continuamente durante l’incontro).

I procedimenti tecnici consistono in strutture specifiche di atti motori integrati (di regola per ogni gioco sportivo), che permettono ai giocatori di manovrare il pallone (o altro oggetto di gioco), di spostarsi nel campo di gioco e di eseguire movimenti in funzione del raggiungimento dell’obiettivo delle azioni individuali e in genere del gioco sportivo. I componenti di ogni squadra coordinano reciprocamente le loro azioni individuali e questa coordinazione reciproca avviene sulla base di una serie di principi e di regole (azioni collettive) che si applicano sia in attacco che in difesa (capacità di gioco e tattica di gioco).

Grazie all’organizzazione, al coordinamento e alla razionalizzazione delle azioni individuali e delle interazioni, la squadra può essere considerata come un microcosmo sociale complesso, dinamico, con una funzionalità generale e speciale (la tattica di base e la tattica per ogni partita). Tutto questo è un sistema, perché le azioni dei giocatori sono integrate in una struttura, seguendo un modello, conformemente a regole e principi.

E’ un sistema dinamico perché dispone delle capacità di autoregolazione, adattarsi cioè alle situazioni che si presentano di volta in volta senza disorganizzarsi.

I giochisport possono essere individuali (tennis, badminton, etc.) o collettivi (Minibasket, Minicalcio, Minivolley, Minirugby, etc.).

LA SOCIALIZZAZIONE E LA COMUNICAZIONE NEL MINIBASKET
A 6 anni il bambino inizia a frequentare la Scuola Primaria e si avvia a costruire una propria identità al di fuori del nucleo familiare. A 7-8 anni è possibile e opportuno avviare il bambino verso la pratica di giochi sport individuali e di squadra. I bambini giocando si muovono e sviluppano in modo armonico tutti i segmenti del corpo, gli schemi motori di base e posturali e le capacità motorie (in particolare quelle coordinative).

Dal punto di vista psicologico, il gioco connesso al giocosport dà luogo a un processo fondamentale dell’evoluzione della persona. E’ un potente strumento di costruzione, adattamento ed espressione del passaggio dall’egocentrismo dell’infanzia alla relazione sociale.

Giocando in squadra si sviluppano lo spirito di collaborazione, l’aiuto reciproco , il rispetto delle regole, la combattività e la volontà di superare insieme le difficoltà.

I giochisport forniscono un forte contributo allo sviluppo del pensiero pratico e nel Minibasket il giocare 3 c 3 o 5 c 5 porta i bambini ad analizzare più situazioni, a confrontarle tra loro e a trarre conclusioni pratiche con la massima rapidità possibile. Tutti questi processi intellettivi, oltre alla rapidità, sono caratterizzati dalla correlazione delle situazioni analizzate e portano come risultato finale allo sviluppo di un’attenzione distributiva, della capacità di anticipazione delle azioni e degli avvenimenti. I processi intellettuali e la loro traduzione in atti concreti avvengono in condizione di forte tensione fisica e affettiva.

In ogni situazione relazionale la comunicazione è l’elemento socializzante fondamentale, pertanto anche nell’ambito di una squadra (anche di Minibasket) ogni manifestazione dinamica relazionale ha come strumento di base il linguaggio, sia verbale che non verbale.

E’ evidente la funzione socializzante del linguaggio verbale e la sua importanza come strumento della trasmissione delle conoscenze, in quanto permette la formulazione e la precisazione di concetti concettuali.

Non di rado il linguaggio verbale diventa più significativo quando invece di fare uso di un “codice elaborato” ci si serve di un “codice ristretto” più radicato nel vissuto delle persone a cui ci si rivolge.

Il linguaggio verbale spesso è inadeguato a comunicare sentimenti, emozioni e atteggiamenti interpersonali, che sono più o meno inconsapevolmente espressi.

Il linguaggio del corpo assume una grande importanza nei giochi di squadra, sia per l’alto tasso emotivo che la situazione agonistica induce, che per le caratteristiche stesse dei giocatori. Il linguaggio non verbale rinforza il messaggio verbale emesso e gli conferisce maggiore significatività. A volte i due tipi di linguaggio sono indipendenti tra loro e la discrepanza ingenera confusione e incertezza nel bambino, molto attento alla comunicazione corporea che non a quella verbale.

L’ISTRUTTORE MINIBASKET
L’Istruttore è la figura centrale in grado di influenzare i rapporti sociali all’interno della squadra. Ritenere che il suo compito sia quello di trasmettere abilità tecniche è fortemente riduttivo. Un corretto rapporto con i bambini può incidere fortemente sulle motivazioni individuali, sulla crescita psicologica e sulla coesione del gruppo. Durante la lezione Minibasket avviene la principale manifestazione comunicativa determinata dall’intenzione didattica. Questo fenomeno ha un carattere bilaterale e ha come personaggi l’Istruttore, il bambino e i bambini che compongono la squadra.

In questa situazione l’Istruttore ha il ruolo principale di emittente (sorgente di informazione) e il bambino di ricevente. All’inizio dell’emissione (lezione) l’Istruttore e il bambino dispongono di un repertorio di nozioni, azioni (abilità tecnico-tattiche) e di operazioni. Il repertorio dell’Istruttore è più ricco di quello del bambino. Nell’ambito di un processo didattico, l’Istruttore ha il compito di completare quantitativamente e qualitativamente il repertorio del giocatore.

Il repertorio del bambino si completa per tappe (conformemente al piano e al programma predisposto dall’Istruttore). La lezione è una tappa durante la quale il bambino assimila una parte del repertorio che l’Istruttore si propone di trasmettergli. Affinchè il messaggio trasmesso dall’Istruttore sia ricevuto dal bambino, il repertorio del bambino deve contenere una certa parte del repertorio dell’Istruttore. Sulla base di questo fondo comune può avvenire la ricezione del messaggio, altrimenti se i due repertori sono distinti il messaggio non è recepito.

Perciò, riguardo alla trasmissione della tecnica cestistica ai bambini in età Minibasket, l’Istruttore deve tenere molto basso l’indice di difficoltà dei procedimenti tecnici, fino ad arrivare ad abitudini motorie conosciute dai bambini (dal semplice al difficile, dal noto all’ignoto).

Per far apprendere ai bambini procedimenti tecnici nuovi, l’Istruttore può ricorrere alla dimostrazione e alla spiegazione affinché il repertorio del bambino sia corredato dall’azione che deve eseguire. Successivamente il processo di apprendimento deve basarsi sul repertorio arricchito dalle nuove acquisizioni motorie. Così la successiva lezione si baserà sulle acquisizioni realizzate nella lezione precedente. La trasmissione del messaggio nella relazione Istruttore-bambino non va a senso unico, ma l’Istruttore deve osservare il comportamento motorio e non del bambino, quindi l’Istruttore diventa il ricevente e il bambino l’emittente: il flusso delle informazioni diventa bilaterale.

Non diventa bilaterale se nella relazione comunicativa Istruttore-bambino intervengono dei rumori perturbativi (inibizioni interne, fatica, non ricezione del messaggio, fatica, incongruità affettiva con l’Istruttore, poca attenzione). Sono poco graditi ai bambini gli Istruttori che si esprimono in modo sarcastico, che urlano, che sono opprimenti, che presentano sempre gli stessi giochi ed esercizi, che puniscono, che insultano oppure che evidenziano difficoltà tecniche nell’eseguire un esercizio da parte di bambini poco abili). Questi fattori di perturbazione diminuiscono e alterano la quantità dell’informazione trasmessa.

L’Istruttore incapace, incompetente, possiede poche capacità comunicative, non entra in empatia con i bambini e non riesce a instaurare un dialogo e un rapporto costruttivo con i bambini.

L’Istruttore incapace, incompetente, possiede poche capacità comunicative, non entra in empatia con i bambini e non riesce a instaurare un dialogo e un rapporto costruttivo con i bambini.

L’Istruttore quando comunica con i bambini deve:

fare in modo che il messaggio sia percepito;
accertarsi che il messaggio sia interpretato;
essere sicuri che il messaggio sia compreso;
verificare che il messaggio sia memorizzato e assimilato (mentalmente e notoriamente);
comunicare un feedback di ritorno.


L’Istruttore non deve essere solo un tecnico, ma soprattutto un Educatore, un leader, deve essere un buon comunicatore, un ottimo osservatore, deve ascoltare, percepire e capire ogni bambino. E’ opportuno che sappia impartire disposizioni, incoraggiare, operare critiche costruttive, accompagnate da suggerimenti positivi, che proponga obiettivi conseguibili e che rispettino le motivazioni dei bambini. Deve essere in grado di decodificare i messaggi che spesso non solo verbali da parte dei bambini (rifiuto, isolamento, opposizioni, polemiche, ritorsioni, scatti d’ira), specialmente se la squadra è costituita da bambini emotivi.

Se l’Istruttore avverte nell’insuccesso (non la sconfitta della squadra, ma la perdita di bambini o l’abbandono, il rifiuto al gioco, etc.) il senso della propria incapacità (confusione tra ciò che vuole e ciò che è) è meglio che “si guardi dentro” e capisca che insegnare il Minibasket ai bambini non è esclusivamente trasmettere le tecniche esecutive dei fondamentali cestistici, ma è qualcosa di più!

Sarebbe opportuno fare un passo indietro e pensare di essere al servizio dei bambini e non considerare i bambini oggetti ma i soggetti del gioco.

Nel gruppo dei pari, i rapporti più importanti nel giocare a Minibasket, sono quelli che intercorrono tra i bambini stessi (le azioni di ogni bambino risultano legate alle azioni degli altri bambini, secondo gli obblighi e le aspettative reciproche. I processi interattivi all’interno del gruppo-squadra Minibasket non sempre sono percepiti e vissuti con chiarezza, la convivenza non sempre è facile (realtà socio-culturali differenti) e a volte l’impegno non è sempre massimale. Dai 6 agli 11 anni il Minibasket deve assumere un carattere marcatamente ludico, la cooperazione si acquista “step by step”, idem la sicurezza e la capacità di scelta. Nel gruppo dei pari possiamo aver leader positivi, negativi e gregari, è compito dell’Istruttore omogeneizzare il gruppo e renderlo coeso. Tutto ciò non significa escludere la competizione!

COME DEVE ESSERE LA COMUNICAZIONE
Nella fascia di età tra i 6 e i 7 anni la comunicazione dei bambini è costituita da messaggi verbali e non, molto semplici, chiari e facili da comprendere. Nella fase successiva anche le forme di comunicazione verbali diventano più complesse e meno identificabili. La comunicazione verbale è più ricca e articolata, i componenti del gruppo si riconoscono come tali, spesso elaborano dei codici gergali, segreti agli altri, per alimentare il senso del “noi”. Anche i messaggi non verbali diventano più complessi, sono i veicoli attraverso i quali la sfera emotiva del bambino riesce a palesarsi e in quest’ottica l’Istruttore deve essere molto attento e osservare i comportamenti dei bambini.

La relazione educativa fondamentale nel minibasket è quella che intercorre tra l’Istruttore e il bambino (entrambi svolgono alternativamente il ruolo di emittente e di ricevente). Inizialmente è opportuno che l’Istruttore si ponga nel ruolo di osservatore e riceva tutte le informazioni che riguardano le caratteristiche motorie, psicologiche e comportamentali di ogni singolo bambino e del gruppo nel suo insieme.

Osservando i comportamenti dei bambini l’Istruttore deve essere in grado di individuare tre situazioni problematiche nelle loro relazioni sociali:

immaturità;
passività: rinuncia all’espressione delle proprie aspirazioni, delle proprie intuizioni, delle proprie idee, con conseguente ansia, incertezza e timidezza);
aggressività (accentuata con propensione all’uso di violenza fisica a scopo spesso distruttivo e con spiccata tendenza alla conflittualità nei rapporti interpersonali).
E’ importante che l’Istruttore sappia cogliere messaggi positivi, quali:

abilità tendenti a manifestare e a esprimere sentimenti, opinioni e ogni altro aspetto della personalità;
abilità tendenti a favorire un rapporto positivo con gli altri mediante apprezzamenti positivi e manifestazioni di accordo sereno;
abilità di autoaffermazione che si manifesta come capacità di fare richiesta ad altri, di dimostrare disaccordo, di rifiutare adesione a richieste altrui non ritenute giuste, di rifiutare sottomissione a pressioni illegittime;
abilità di comunicazione disinvolta con persone conosciute e sconosciute.
Questo impegno diagnostico è molto importante per individuare una strategia didattica, che ha come scopo non solo l’insegnamento delle tecniche di gioco, ma anche la crescita armonica e complessiva del bambino.

L’Istruttore è colui che insegna e guida, pertanto è l’emittente di un flusso consistente di comunicazioni informative che costituiscono il suo impegno didattico. L’insegnamento delle tecniche esecutive e delle modalità di gioco deve avvenire gradualmente, tenendo conto che per realizzare una comunicazione efficiente si deve possedere un minimo di repertorio comune.

La palla è l’attrezzo fondamentale del Minibasket e fin dalla più tenera età il bambino “comunica” con la palla (salta, corre, lancia, riceve, etc.). Il bambino ama la palla e la palla è il fattore chiave per la comunicazione all’interno di un gruppo Minibasket (passaggio). Solo con il passaggio della palla si comunica con i compagni di gioco.

A 6-7 anni il bambino tiene la “sua” palla, non la passa mai e quindi è corretto “esaltare” questo momento. Progressivamente però si deve iniziare a presentare la fase collaborativa (scambiare la palla con i compagni, lanciare la propria e riceverne un’altra, giocare in due con una sola palla, poi in tre, in quattro e in cinque.

Il passaggio della palla è l’interscambio di messaggi e di conseguenza è comunicazione tra i bambini. Grazie a questo fondamentale, i bambini sono “costretti” a guardarsi, a capirsi per riuscire a compiere l’esercizio presentato dall’Istruttore. In questo momento si verifica uno spostamento di interessi dal proprio Ego al Noi e per ottenere tutto ciò è necessario che il bambino si inserisca emotivamente nel gruppo, partecipando e sostenendo i compagni durante le partite.

In campo (lezione e partita) la comunicazione verbale e non verbale è il canale attraverso il quale si evidenziano i rapporti positivi o negativi.

Comunicazione verbale positiva

Il bambino esprime solidarietà, offre aiuto, è d’accordo, comprende, si adegua, accetta le proprie responsabilità, fornisce idee e informazioni.

Comunicazione non verbale positiva

Il bambino scherza con i compagni, ride, sorride, mostra soddisfazione, applaude, aiuta in campo, passa la palla, accetta contatti fisici rituali (abbracci, strette di mano “5 alto”), rispetta l’arbitro.

Comunicazione verbale negativa

Il bambino non è d’accordo, critica, è polemico, svaluta la posizione degli altri bambini, scarica su altri la responsabilità di una sconfitta, difende se stesso.

Comunicazione non verbale negativa

Il bambino fa il sostenuto, tiene il muso, mostra tensione, non passa la palla, non collabora, si ritira dal gioco, rifiuta i contatti fisici rituali, si isola nello spogliatoio, non rispetta l’arbitro.

L’ARBITRO (o meglio il Miniarbitro)
Nell’ambito dell’attività agonistica l’arbitro riveste un ruolo centrale, in quanto deve far rispettare le regole del gioco. All’arbitro è fatta delega da parte del pubblico, dei giocatori e degli Istruttori di sanzionare i falli, fischiare le infrazioni, riconoscere la vittoria o la sconfitta di una squadra, in quanto rappresenta “la legge sportiva”.

Esiste un codice verbale e mimico, condiviso dagli Istruttori, dai giocatori e dal pubblico, attraverso il quale l’arbitro comunica le proprie decisioni.

L’arbitro deve conoscere il Regolamento, deve “dominare” la situazione agonistica, deve essere indipendente dall’ambiente, non deve essere suggestionabile, deve avere un’elevata autostima, deve avere un buon controllo emotivo, deve identificarsi nel ruolo.

Se non riesce a essere “super partes” potrebbe ricevere proteste, critiche, insulti (verbali e non), espressioni di incredulità, espressioni ironiche, gesti stizziti, falli di reazione.

Con i bambini il Miniarbitro, che riveste il ruolo di Educatore, non deve punire per le infrazioni e i falli, ma deve far capire ai bambini il perché del fallo o dell’infrazione, abbinando al gesto rituale non verbale, una comunicazione verbale: solo in questo caso sarà accettato dai bambini. Deve essere visto dai bambini come un “amico consigliere” e non come un giudice pronto a punire quando si sbaglia. Diventa più facile, in questo modo, per i bambini riconoscere, accettare e seguire il Miniarbitro e il suo ruolo nel contesto della partita.

LA FAMIGLIA (o meglio i genitori)

La famiglia per un bambino dai 6 agli 11 anni è il nucleo fondamentale di riferimento anche per quanto riguarda la pratica sportiva. Genitori e figli intessono tra loro un sistema di comunicazioni verbali. L’ansia della prestazione sportiva è in altre situazioni sperimentata dai bambini in stretto rapporto con il modo di reagire da parte dei genitori ai primi tentativi di realizzare un evidente risultato (scolastico, sportivo, musicale). Spesso i genitori riversano sui figli le proprie aspettative, aspirazioni, sognano il figlio campione e un cenno di disappunto o di disapprovazione durante un allenamento o una partita, può scatenare ansia e demotivazione nel bambino. Comunque non sempre l’effetto della presenza dei genitori agli allenamenti o alle partite è negativo e a volte può svolgere un ruolo di supporto positivo.

Spesso i genitori si comportano in modo positivo quando suggeriscono ai bambini gli obiettivi da raggiungere prima di una competizione e quando li aiutano a giudicare successivamente il risultato (positivo o negativo) raggiunto.

La comunicazione genitore-figlio nel Minibasket può ritenersi positiva quando è volta:

all’approvazione dell’impegno;
al sostegno degli sforzi sostenuti;
all’analisi critica ma serena dell’insuccesso o del successo;
al raggiungimento di un miglioramento;
al sostegno di ogni comportamento socialmente positivo all’interno della squadra;
al sostegno dell’operato dell’Istruttore;
al sostegno dell’operato dell’arbitro;
al premio di fronte a successi anche minimi;
all’accettare serenamente la sconfitta.

E’ negativa quando è volta:

a eccessivi stimoli al successo e al campionismo;
a commenti ipercritici o ironici;
a recriminazioni in caso di insuccesso;
a incitamento a atteggiamenti aggressivi;
a insoddisfazioni palesi per risultati inferiori alle attese;
a commenti negativi rivolti a compagni di squadra, all’Istruttore e alle decisioni arbitrali;
alla deresponsabilizzazione del proprio figlio in caso di sconfitta,
all’incitamento ad emergere individualmente.
PUBBLICO
Anche il pubblico costituisce un importante elemento nella dinamica relazionale del Minibasket, anche se si identifica quasi per intero con i familiari e gli amici dei bambini. E’ bene che i bambini si adattino subito alla presenza del pubblico che, con la sua presenza e partecipazione, crea un sottile, ma duro legame con il bambino in competizione. I bambini imparano progressivamente a captare le vibrazioni utili e a eliminare gli effetti negativi della sua presenza. In altri termini il bambino si abitua a giocare in presenza di altre persone, mentre è in grado di bloccare a livello percettivo i commenti sgradevoli e il chiasso in generale, elementi che possono ostacolare i suoi sforzi in partita.

Il bambino deve imparare a cogliere i segnali verbali positivi (incitazioni e applausi) e a rifiutare i commenti negativi (insulti o fischi) che possono influenzare negativamente gli sforzi compiuti in partita.

CONCLUSIONI
I Dirigenti e i Genitori devono stabilire un dialogo con l’Istruttore che rinforza il fatto che il Minibasket è un gioco e non un avviamento precoce alla pallacanestro. Purtroppo in alcune Società Sportive è spesso presente la tentazione di spingere l’Istruttore a fare una selezione che porti avanti i bambini più bravi e emargini quelli che non sembrano in grado di fornire risultati apprezzabili, al fine di poter contare in futuro su possibili campioni “fatti in casa”. Tutto ciò non va bene, aumenta l’abbandono e non contribuisce certamente a un corretto avviamento motorio e sportivo.




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A. Ferrari

A. Ferrari

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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 9 Commenti
  • Harlock12 02/05/2016, 11.32
    Citazione ( LeKugurre 02/05/2016 @ 10:33 )

    Quotiamo. Rousseau, Montaigne... e Hinde ripetuto 2 volte! Per chi scrive la citazione fine a se stessa ha come risultato la gogna pubblica se non si ha un valido motivo per restringere così drasticamente il potenziale dei lettori. .... i "segnali ...

    vorrei suggerirti a riguardo un paio di manuali che spesso condividiamo in palestra con i nostri mini-atleti:
    1)Quaderni di Epistemologia dell attaccare il ferro nell' approccio contemporaneo di Karl Popper- A.A.V.V.
    2) Tabelle,schemi e diagrammi sugli effetti del Poppers nell atteggiameto non verbale dell istruttore minibasket-Cat. Scoiattoli durante i time out del 5°periodo.
    di A.Verdi-B.Bianchi-C.Rossi
    3) Biddy-basket warm-up music- Studi e tavole didattiche per stimolare una psicomotricità consapevole: dal Torero Camomillo al Caffè della Peppina.
    nuova edizione con prefazione di Cristina d'Avena

  • LeKugurre 02/05/2016, 10.33
    Citazione ( Harlock12 01/05/2016 @ 22:30 )

    io personalmente le apprezzo queste cose che scrive Mondoni: mi faccio quattro risate e capisco esattamente cosa non devo fare quando voglio che un bambino impari la pallacanestro. Ringrazio anche sportando per la formazione che fa nei confronti di ...

    Quotiamo.
    Rousseau, Montaigne... e Hinde ripetuto 2 volte!
    Per chi scrive la citazione fine a se stessa ha come risultato la gogna pubblica se non si ha un valido motivo per restringere così drasticamente il potenziale dei lettori. .... i "segnali prosodici" .... è il nocciolo della questione!


    Si dice che uno dei più grandi pensatori del Novecento, un filosofo austriaco di nome Wittgenstein, autore di un librone che a confronto la Treccani sembra un volantino del supermercato (chiamato Tractatus in cui spiegava tutte le manifestazioni dei segni dei simboli e ogni fenomeno della natura umana) incontrò in Inghilterra l'economista Sraffa, un ebreo italiano, che ad un certo punto gli chiese il significato del gesto frequente nel Sud Italia in cui tenendo uniti il medio e l'indice vengono sfregati sotto il mento e rivolti in avanti, come espressione di superbo menefreghismo. Si narra che Wittgenstein così cerebralmente matematico, ma intellettualmente onesto ebbe un'espressione di smarrimento e portando le mani sul capo rispose ."Accidenti, ora devo ricominciare tutto da capo!"
    Consiglio: mollare il basket e leggere Wittgenstein.
    Prossimi esercizi:
    1) In un quaderno di prima elementare scrivere 3 volte per riga in 4 pagine Ray Birdwhistell, con l'obbligo di limitarne la citazione in un'aula universitaria e non in un campo di basket
    2) Relazionare segnali prosodici e semantici percepiti nel nostro passaggio al nuovo avatar e della frase "No matter what happens, we will steal again" nella banda di Lupin di quello di Harlock
    3) Dopo aver specificato per il grande pubblico se "I giochi degli animali" di Groos è stato scritto nel 1896 avanti o dopo Cristo, distribuire manualmente l'opera nella prossima stagione al Pianella nella curva degli ultras di Cantù negli ultimi minuti del match contro l'Olimpia di Milano. In caso di promozione della Fortitudo in A1 o retrocessione della Virtus in A2 si può in alternativa sostituire con esercizio equivalente nel derby di Bologna.


    Assicuriamo: Ogni dubbio sulla prossemica sarà risolto.

  • MENCIA 01/05/2016, 22.53

    Professor Mondoni cremonese doc come Giorgio Gandolfi i due gota Cremonesi

  • fuarceUDIN 01/05/2016, 22.31 Mobile
    Citazione ( Harlock12 01/05/2016 @ 22:30 )

    io personalmente le apprezzo queste cose che scrive Mondoni: mi faccio quattro risate e capisco esattamente cosa non devo fare quando voglio che un bambino impari la pallacanestro. Ringrazio anche sportando per la formazione che fa nei confronti di ...

    Quotissimo!!! Bravo

  • Harlock12 01/05/2016, 22.30
    Citazione ( fuarceUDIN 01/05/2016 @ 19:17 )

    Ma scusa, se a te non interessano perchè non fai a meno di leggerle???

    io personalmente le apprezzo queste cose che scrive Mondoni: mi faccio quattro risate e capisco esattamente cosa non devo fare quando voglio che un bambino impari la pallacanestro.
    Ringrazio anche sportando per la formazione che fa nei confronti di chi da noi ha il priviligio di divertirsi con i bambini giocando a pallacanestro:
    basta che leggano cio che scrive Mondoni e sanno esattamente cosa NON FARE se vogliono che i loro bimbi imparino questo sport meraviglioso

  • Bronk5 01/05/2016, 21.27 Mobile
    Citazione ( gusmanedemattei 01/05/2016 @ 17:50 )

    Ma ancora dobbiamo sopportare queste cose che non interessano a nessuno? BASTA.

    Probabilmente a te

  • fuarceUDIN 01/05/2016, 19.17 Mobile
    Citazione ( gusmanedemattei 01/05/2016 @ 17:50 )

    Ma ancora dobbiamo sopportare queste cose che non interessano a nessuno? BASTA.

    Ma scusa, se a te non interessano perchè non fai a meno di leggerle???

  • gusmanedemattei 01/05/2016, 17.50 Mobile

    Ma ancora dobbiamo sopportare queste cose che non interessano a nessuno? BASTA.

  • kj7mayor 01/05/2016, 17.12

    Stanotte me lo leggo...