Sergio Scariolo racconta i suoi anni a Vitoria
Il coach parla del suo passato sulla panchina del Caja Laboral
Il Caja Laboral ha giocato quattro Final Four di Eurolega consecutive, più la finale (senza Final Four) del 2001. Da 11 anni raggiunge almeno la semifinale di Coppa del Re, per 10 anni almeno la semifinale di campionato e ha sfornato giocatori fantastici, Jorge Garbajosa, Mirza Teletovic, Luis Scola, Fabricio Oberto, Pablo Prigioni, Andres Nocioni, Tiago Splitter, pescando bene e valorizzando meglio. Il Caja Laboral è l’avversario dell’EA7 nella terza giornata di Eurolega ma anche la prima squadra spagnola di coach Sergio Scariolo, nella fase iniziale della sua esplosione. Gli abbiamo chiesto di raccontarci il Baskonia.
Sergio Scariolo: arrivò a Vitoria nel 1997 dopo la fine dell’esperienza con la Fortitudo…
“Sì, conobbi il direttore sportivo dell’allora Tau, Alfredo Salazar, a Phoenix. C’era il Desert Classic, con i ragazzi che uscivano dal college per diventare professionisti: ero lì per aggiornamento. Salazar era l’uomo di riferimento del presidente Querejeta. A quei tempi ero in trattativa con la Benetton ma legata alle decisioni di Obradovic con il Real Madrid. Poi accadde che Obradovic venne a Treviso e il coach di Vitoria, Manel Comas andasse via per firmare al Barcellona. A quel punto venni chiamato a Vitoria da Querejeta e il progetto, le sue idee mi entusiasmarono”.
Decise di allenare all’estero, un fatto inusuale a quei tempi.
“Sì, ma io avevo già deciso che potendo l’avrei fatto. Ero preparato, mi affascinava la Spagna e conoscevo già la lingua. Così quando ebbi la proposta non esitai molto, era una specie di quadratura del cerchio”.
I coach stranieri sono sempre accolti con una punta di scetticismo.
“Ma nei paesi baschi è diverso, in altri posti probabilmente sarebbe successo ma quello era il posto ideale per uno straniero. Il club non era quello che conosciamo adesso ma le idee su come diventarlo erano già molto chiare”.
Oggi Vitoria è un club modello, ma nel 1997?
“Era un club modello in fase embrionale, ma i principi erano già molto chiari e soprattutto c’è stata grande coerenza nel portarli avanti e nessun tipo di condizionamento sul ruolo dell’allenatore, del direttore sportivo, su come vedono il basket e cosa dev’esserci attorno, incluso l’impianto. Concetti che c’erano allora e ci sono ancora oggi. Al di là delle maxistrutture polisportive o con budget enormi, è corretto pensare al Baskonia come uno dei club di punta e forse il migliore d’Europa in questo momento. Un modello”.
Ha avuto un ruolo in questa escalation?
“Ho l’orgoglio di aver partecipato e di esserci stato a Vitoria, ma non mi riconosco altri ruoli. Sono felice di aver vissuto la fase iniziale della crescita per cui anche dopo, quando li ho affrontati da avversario, in modo qualche volta duro nei playoff spagnoli e senza ovviamente fare sconti come sarà qui a Milano, ho sempre sentito dentro qualcosa di particolare. Ma il motivo della loro striscia di stagioni positive è il presidente Querejeta nel quale si fondono grande conoscenza del basket e quando talento imprenditoriale”.
Il primo anno a Vitoria andaste in finale.
“La regular season fu straordinaria, la vincemmo nettamente e Vitoria non l’aveva mai fatto prima. C’era grande entusiasmo. Poi nei playoff battemmo Malaga e Barcellona 3-0. Ci trovammo davanti Manresa, che era arrivata sesta ma cavalcava un momento straordinario. Aveva vinto due serie con il fattore campo contro, era in uno stato di grazia. Buttammo via la prima partita sperperando 15 punti di vantaggio nel supplementare. Poi cui furono tre battaglie, ma vinsero loro. Erano in un momento magico, più di noi”.
Il secondo anno arrivò la Coppa del Re.
“Per la prima volta parteciparono all’Eurolega. Eravamo debuttanti ma la società sapeva bene come comportarsi. Oggi posso dire che si muovevano come se fossero la squadra da Final Four che sarebbero diventati in seguito. In estate perdemmo qualche giocatore che aveva sfruttato la grande stagione precedente vedi Pat Burke o Brent Scott. Arrivò anche Stefano Rusconi. A Valencia giocammo una grande Final Four vincendo la Coppa”.
Cos’è oggi il Caja Laboral?
“Un club con idee chiare che porta avanti un progetto da tanti anni legato come dicevo a pochi principi ma solidissimi che li alimentano a prescindere da tutto. Hanno una struttura commerciale con una trentina di persone e sono diventati negli anni forse l’unico club che coniuga competitività agonistica ai massimi livelli con il rispetto delle esigenze economiche. Da qui l’impianto, la palestra, lo shopping center accanto all’impianto e adesso persino l’Alaves, la squadra di calcio è stata rilevata. Non sbandano mai”.