Luca Banchi: Sulla panchina di Milano, oltre al professionista c’era anche il mio sogno da bambino
Il coach del Bamberg alla serata da ex contro l'Olimpia: Armani? Aver alzato un trofeo con quella maglia, seppur nella drammaticità di averlo fatto contro Siena, è qualcosa di cui gli sarò sempre grato
SU TORINO
«Ho ignorato qualsiasi cosa per scelta. La decisione di non parlare e non alimentare polemiche l’ho presa già quando in estate avevo fatto un’intervista in cui avevo denunciato alcune cose, senza togliermi la motivazione di voler vivere una stagione importante. Da quell’episodio ho scelto che non sarebbero state le mie parole a turbare la serenità dell’ambiente. La situazione ha pesato prima di tutto a me: mettere una pietra su mesi di lavoro, sacrificio, dedizione e un programma ad ampio raggio. Me ne assumo la responsabilità, ma qualsiasi cosa detta poi mi lascia indifferente».
SU MILANO
«Di quella stagione (il 2014, ndr) tutti ricordano che non siamo riusciti ad andare alla Final Four, perché la visione delle cose si riduce a quello che non si riesce a ottenere. Ma quel rammarico e rimpianto è anche mio (…). Fare anche un’Eurolega al di là di ogni pronostico ha contribuito a creare aspettative tali che la stagione senza titoli è stata vissuta come un profondo fallimento, e le leggi non scritte dello sport dicono che è giusto ritenerne l’allenatore come principale responsabile. (…) Io l’opportunità di correggere gli errori non l’ho avuta: al primo anno ha funzionato tutto, al secondo non aver vinto mi è costato il lavoro, pur avendo giocato un’Eurolega più che dignitosa in cui alla penultima giornata di Top 16 eravamo a giocarcela. A Milano ci sono dirigenti illuminati, se hanno deciso di cambiare forse non ero la figura più adatta a condurre quello che fu definito un nuovo ciclo che ripartiva con altri connotati e valori, si disse. Come se i miei fossero sbagliati».
SULL’OLIMPIA
«Da professionista Milano è stata per sette anni la rivale di Siena, ma da bambino il mio primo amore era stato D’Antoni e il Billy. Quando mi sono seduto su quella panchina, oltre al professionista c’era anche quel bambino che sognava un giorno di indossare quella stessa maglia che comprai per posta da piccolo, quando un anno giocai un campionato con le Converse autografate da D’Antoni grazie a un arbitro di Grosseto. Sarò sempre grato a chi mi ha voluto lì e ad Armani per la cortesia, gentilezza e classe nei confronti miei e della squadra in ogni momento. Avrei voluto salutarlo con un trofeo, che meritava più di ogni altro, ma purtroppo quando passò in spogliatoio dopo la sconfitta di Sassari mi ha trovato con la testa tra le mani per la rabbia: ricordo la sua pacca di solidarietà. Ma aver alzato un trofeo con quella maglia, seppur nella drammaticità di averlo fatto contro Siena, è qualcosa di cui gli sarò sempre grato. Sembra una maledizione: sia con Torino che ora con Bamberg ho ritrovato Milano ma sempre fuori, dopo Sassari non sono mai tornato a Milano da avversario».
SU SIENA
«Ricalco il pensiero di tutti quelli che come me hanno avuto il privilegio di far parte di quel ciclo: ieri sera a cena Bencardino ha tirato fuori dal telefono pezzi di allenamento che era solito filmare e che usa ancora come ispirazione del suo lavoro, pur avendo fatto anche in seguito esperienze pazzesche. E’ impensabile che quel lavoro, sudore, sacrificio possano essere portati in un’aula di tribunale e quei risultati non ricondotti a quello che si vede su quel telefono, che ancora oggi è pazzesco da guardare».
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